La pena di morte / 1: lo Stato “divino”

In molti paesi la pena di morte porta ancora oggi ogni anno a migliaia di esecuzioni. Oltre che all’attualità dell’argomento, questa serie di articoli è dedicata ad un convegno sul tema che sarà organizzato dall’Informagiovani del Comune di Rieti, ed in particolare sulla storia di un giovane condannato a morte, Clinton Lee Young.

Da sempre nella storia delle religioni sono gli dei a stabilire il destino degli uomini. Ad esempio nella mitologia greca le Parche filavano, tessevano e tagliavano il filo della vita dei mortali.

Questo compito è sempre stato attribuito alla divinità, dimostrando che viene riconosciuto appartenere ad una sfera separata e più alta.

Quando invece è lo Stato e in particolare il potere giudiziario a decidere, sorgono spontaneamente alcune domande: dove mettiamo il limite? Chi si uccide con la pena di morte? Chi sceglie a quale reato e in quali condizioni legare questa irreversibile punizione? L’autorità democratica deve ispirare le leggi, ma un tale potere sulla vita dei cittadini non può trovare un’analoga legittimazione.

È chiaro che disporre dell’esistenza di un altro essere umano, appartiene ad un ambito diverso rispetto agli altri poteri dello stato. Se nelle società del passato ciò era giustificato mediante il ricorso al divino, oggi non solo dovremmo rigettare questa possibilità, ma capire che la distanza tra i due livelli è incolmabile. Riconoscendone la differenza fondamentale, si può concludere che in nessuna condizione il ricorso alla pena capitale è giustificabile in uno stato di diritto.