Chiesa di Rieti

«La fede non è un copione», al Giugno Antoniano il vescovo richiama alle radici

Nella giornata più intensa del Giugno Antoniano, monsignor Piccinonna ha presieduto il solenne pontificale nella Basilica di Sant’Agostino, invitando a una fede autentica e radicata: «Dio accetta da noi anche il peccato, ma una cosa non sopporta: la finzione»

C’era già aria di festa alle prime luci del mattino, tra i profumi dell’infiorata e la cioccolata calda con i biscotti, offerta nel chiostro della Basilica di Sant’Agostino dalla Pia Unione Sant’Antonio di Padova. Il popolo di Rieti si è stretto attorno al santo più amato, nella giornata più intensa del Giugno Antoniano, quella della Processione dei Ceri. Ed è qui, nel cuore vivo della città, che il vescovo Vito ha presieduto il solenne pontificale, raccogliendo un’assemblea numerosa e attenta, pronta a lasciarsi interrogare e consolare dalla Parola.

Nella sua omelia, densa e diretta, il vescovo ha scelto di partire dal legame con i santi Pietro e Paolo, celebrati proprio in questa domenica. Li ha chiamati le «due colonne» su cui regge la Chiesa, figure che mostrano come la fede nasca sempre da una chiamata, da un incontro che cambia la vita. «Il futuro è nelle radici», ha detto, sottolineando che anche Pietro e Paolo non hanno mai smesso di tornare alla sorgente del loro cammino, “allo spartiacque” che li aveva portati a riconoscere in Gesù il Cristo, «il Figlio del Dio vivente».

E in questo ritorno alle radici, monsignor Piccinonna ha voluto far emergere la parte più fragile e insieme più potente del loro esempio. Pietro, in carcere. Paolo, prossimo alla morte. Non icone trionfanti, ma uomini segnati dal limite e dalla prova. Eppure, proprio lì, la loro fiducia in Dio ha saputo brillare. «C’è una preghiera – ha ricordato il vescovo – più forte di quelle catene da cui Dio libera». Una fiducia che nasce non dalle proprie forze, ma da quella roccia che è Cristo stesso, «perché Pietro dovrà sempre ricordare che il buon pastore è Gesù, è Gesù che dà la vita per lui, non il contrario».

Con un linguaggio che ha toccato la quotidianità, il vescovo ha invitato ciascuno a porsi la stessa domanda che Gesù rivolge ai discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». Una domanda che brucia e rinnova, simile a quella che si pongono «gli innamorati, i genitori, gli amici» quando cercano senso e autenticità nei propri legami. «Non ci può essere una risposta da catechismo o da copione», ha avvertito, richiamando con forza a una fede viva, capace di ridare consistenza alla vita di ogni giorno.

Poi uno sguardo a sant’Antonio, giovane e ardente fino allo sfinimento, «morto per stanchezza» a trentasei anni dopo aver annunciato instancabilmente il Vangelo. «Oggi siamo amanti del part-time – ha ammonito il vescovo – chiediamo invece di custodire quella fede capace di plasmare la vita».

Al termine della celebrazione, monsignor Vito ha impartito, a nome del Romano Pontefice, l’indulgenza plenaria concessa per il Giubileo. Un segno di misericordia per tutti i fedeli «che animati da sincero pentimento, confessati e comunicati, hanno partecipato a questa celebrazione». E prima di congedare l’assemblea, ha rivolto un saluto affettuoso ai presenti, dalle autorità civili e militari fino alle associazioni, ai movimenti e ai volontari, con un pensiero speciale per la tradizione della benedizione del pane, richiamata con parole nette: «Quel pane ha tanti significati: un pezzo di solidarietà, di ascolto, di stima. Ciascuno di noi dia un nome a quel pane e lo spartisca per davvero».

Non fiction, ma vita vera, ha ripetuto il vescovo, perché «Dio accetta da noi anche il peccato, ma una cosa non sopporta: la finzione». E ha chiesto a tutti di lasciarsi provocare dalla presenza dei santi, «perché la nostra vita diventi sempre più autentica, esperta in umanità e in condivisione con tutti».

Mentre partivano le note dell’«O dei miracoli», la comunità si è sciolta in un applauso. «Buona festa a tutti!», ha concluso con semplicità il vescovo Vito, lasciando vibrare un augurio che sa di pane condiviso, e di una fede capace ancora di tenere insieme la fragilità e la speranza. Ora l’attesa è per la Processione dei Ceri, da vivere tutti insieme, come popolo in cammino.