Le letture di questa domenica hanno un filo logico che ci permette di riflettere sul rapporto tra marito e moglie: la solitudine, l’amore tra uomo e donna, la famiglia. Il primo è un “dramma” che affligge tanti uomini e donne: gli anziani abbandonati perfino dai propri figli, le persone rimaste sole per la morte dell’altro o perché da questi abbandonate; i profughi e i migranti che scappano da guerre e persecuzioni. In questa solitudine la risposta è nell’aprirsi all’altro, saperlo accogliere e ascoltare pur nella sua diversità; un percorso che non sia segnato dal rifiuto. Leggiamo, nel libro della Genesi, che il Signore ha voluto dare all’uomo un “aiuto che gli corrisponda”. Dalla costola ha creato la donna, «perché dall’uomo è stata tolta»; potremmo partire da qui per sottolineare l’aspetto del dono, dono reciproco. In questo contesto, ancora la Genesi e il Salmo, ci aiutano a comprendere il secondo elemento di questo fil rouge: l’amore tra uomo e donna. Singolare relazione dove è proprio l’alterità, non l’uguaglianza, a diventare luogo dove si esprime la comunione. Differenza che deve diventare unione, anzi una sola carne. Amore, infine, che sfocia nel sacramento del matrimonio, accolto come dono, per diventare famiglia.
Marco, nel suo Vangelo, ricorda come nasce la riflessione di Gesù sul matrimonio, in questo dialogo con i farisei che lo mettono alla prova sul tema del ripudio della moglie, come prevedeva la legge di Mosè. Nella sua risposta non entra nel dibattito possibile sull’interpretazione della legge, ma si muove, Gesù, su un piano più alto, e «con la sapienza e l’autorità che gli vengono dal Padre, ridimensiona la prescrizione mosaica dicendo: per la durezza del vostro cuore egli – l’antico legislatore – scrisse per voi questa norma. Si tratta – ricorda il Papa all’Angelus – di una concessione che serve a tamponare le falle prodotte dal nostro egoismo, ma non corrisponde all’intenzione originaria del Creatore». Per questo, leggiamo sempre nel libro della Genesi, «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una sola carne».
Marco ribadisce l’indissolubilità con queste parole: «L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Un insegnamento molto chiaro, afferma ancora Francesco all’Angelus, insegnamento che difende la dignità del matrimonio “come unione di amore che implica fedeltà”. Invito, dunque, a vivere il rapporto tra coniugi alla luce del dono dell’altro, superando divergenze e difficoltà che, inevitabilmente, accompagnano la vita dell’essere umano. Non dobbiamo nemmeno nasconderci che, a volte, ci sono anche situazioni in cui non è più possibile continuare a percorrere la stessa strada. E in questa eventualità c’è bisogno di una maggiore attenzione e solidarietà da parte della comunità.
«Ciò che consente agli sposi di rimanere uniti nel matrimonio è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo”, afferma il vescovo di Roma, che aggiunge: “Se invece prevale nei coniugi l’interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere». Certo «l’uomo e la donna, chiamati a vivere l’esperienza della relazione e dell’amore, possono dolorosamente porre gesti che la mettono in crisi”. Gesù non ammette una simile possibilità, ricorda il Papa, e lo fa “per confermare il disegno di Dio, in cui spiccano la forza e la bellezza della relazione umana».
Per questo la Chiesa «non si stanca di confermare la bellezza della famiglia»; ma, nello stesso tempo, ricorda Francesco, è consapevole delle possibili crisi, e per questo «si sforza di far sentire concretamente la sua vicinanza materna a quanti vivono l’esperienza di relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa». L’amore ferito «può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono». Di fronte a «tanti dolorosi fallimenti coniugali” alla Chiesa non è chiesta «subito e solo la condanna», ma «si sente chiamata a vivere la sua presenza di amore, di carità e di misericordia, per ricondurre a Dio i cuori feriti e smarriti».