L’elenco che legge suor Francesca all’inizio della Messa riporta undici nomi: nove degli anziani ospiti della casa di riposo Santa Lucia, più due religiose. Le vittime che nel mese di aprile il coronavirus, direttamente o indirettamente, ha mietuto nel focolaio del virus creatosi nella struttura delle ex Clarisse Apostoliche confluite nelle francescane di Santa Filippa Mareri. È per loro che il vescovo Domenico ha celebrato la Messa sabato sera in Cattedrale.
La direttrice della casa di riposo di piazza Beata Colomba inizia dal nome di Luigina Scardaoni, storica sagrestana dei piani di Cantalice, per chiudere con suor Anastasia Cristian Molisa, morta nonostante settimane in terapia intensiva, e la più anziana suor Letizia Cesarini, che dal Covid-19 era riuscita a guarire, ma poi il cuore non ha retto. In mezzo, i nomi di Gabriella Matteazzi, Luigina Scardaoni, Lina Terenziani, Ferdinando Rinaldi e Atrasia Rinaldi, Gabriella Bruscani, Aurora Spadoni, Rosa Santilli.
A seguirli, commossi, tra i fedeli raccolti nelle navate di Santa Maria, i parenti, riuniti a pregare insieme alle suore per chi, ormai due mesi fa, dopo aver contratto il contagio tra le mura di Santa Lucia, ha concluso i suoi giorni. Ora che la situazione è tornata alla normalità, si è voluto questo intenso momento di preghiera, che ha visto all’altare del Duomo monsignor Pompili assieme a monsignor Chiarinelli, al parroco don Paolo Blasetti e a don Franco Manzo, sacerdote della parrocchia dello Spirito Santo a Casal di Principe.
Da quell’altare sale a Dio la preghiera di suffragio per queste sue figlie. E dal vescovo giunge un pensiero che aiuta a cogliere un senso alla luce della Parola del Vangelo ascoltata: quell’invito di Gesù a saper perdere la propria vita per trovarla e all’accogliere i più piccoli dei suoi fratelli. Una parola esigente, dice don Domenico, vista «materializzarsi nella tragica vicenda del coronavirus dentro la Casa di riposo. In mezzo al dramma, alla confusione, alla paura c’è stato chi non ha esitato a prendere la propria croce e a correre il rischio della vita, pur di restare accanto a chi stava infettandosi». E chi, come diverse tra le suore, ha avuto questo coraggio, «ha finito per ammalarsi essa stessa».
«Sono stati giorni, settimane, mesi di tensione e di preoccupazione, ma – ha sottolineato il vescovo – questo gesto di restare accanto e di condividere fino in fondo la malattia ha sortito l’effetto di guarire la situazione». Una generosità condivisa anche dagli operatori esterni (tra cui suore di altri ordini con qualifica di infermiera o medico) che hanno «preso in mano la struttura dal punto di vista sanitario».
L’ultimo pensiero il vescovo lo prende dalla prima lettura della liturgia domenicale: quella in cui Eliseo promette alla donna di Sunem, che assieme a suo marito l’aveva accolto, la ricompensa di un figlio: «I due anziani non avevano chiesto nulla per sé, ma è la vita accogliente che rigenera se stessa col dono del figlio». Di qui un augurio: che «la generosità dell’accoglienza, fino al rischio della vita, generi un futuro pieno di vitalità e di serenità per gli ospiti di Casa Santa Lucia: quelli di oggi e quelli di domani».