RIcostruzione

Il vescovo: «Finché siamo inquieti… possiamo star tranquilli»

Ha parlato di ricostruzione, il vescovo Domenico, in occasione della Messa in diretta Rai da Leonessa. Chiarendo che non basterà risolvere i problemi materiali se il tutto non sarà rivolto a una prospettiva più grande e appassionante

Ha colto la prospettiva della ricostruzione, il vescovo Domenico, presiedendo la Messa domenicale trasmessa in diretta dalla Rai dalla chiesa di San Francesco in Leonessa. E a cinque anni dal tragico terremoto del 24 agosto 2016, mons Pompili ha implicitamente tracciato un parallelo con la traversata nel deserto degli Israeliti, cogliendo la natura profonda del loro lamento. «Erano schiavi in Egitto, ma con la pancia piena!», ha notato il vescovo, ma precisando che quello del popolo non era il «lamento di chi è sazio e si angoscia per problemi secondari», ma la voce di chi affronta le «questioni vitali, che il deserto rende urgenti: mangiare, bere, insomma sopravvivere». Un frangente drammatico in cui Dio si inserisce ed invia la manna: «un cibo dal sapore incerto che va raccolto ogni giorno per non dimenticare che l’uomo resta un essere indigente».

Proprio questo è il punto: «Siamo bravi a risolvere problemi secondari, ma quelli di fondo restano insolubili: la fame, la sofferenza, la morte, la pace, la società più giusta e più fraterna. Il progresso è tutt’altro che un processo rettilineo, come avevamo immaginato». Il rischio è ad esempio quello di «pensare che basterebbe risolvere i problemi economici che avremmo fatto tutto. Ma, ammesso che ci si riesca, non è sufficiente». E lo si coglie nel brano evangelico, nel quale Gesù chiarisce ciò che occorre all’uomo: non la semplice ricerca della sazietà del corpo, ma la ricerca vera, «quella che ogni volta riaccende il desiderio che è per sua definizione inesauribile. Il desiderio di Dio è la strada che apre il cielo stellato e ci fa aperti a nuove avventure. È questa l’opera più importante che sottrae l’uomo alla schiavitù dei bisogni che una volta soddisfatti addormentano e riapre alla ricerca di una relazione che spinge in avanti. Oggi la nostra è una società ri-piegata sui bisogni e spenta ai desideri. Di qui la sua depressione permanente, cui la fede in Dio offre una via di uscita».

«Bisogna certo sfamarsi, dissetarsi, vestirsi – ha ammesso il vescovo – ma avvertendo che non è ancora tutto». Ecco perché le parole di Gesù suonano non come una pretesa, ma come un appello: «Io sono il pane della vita! Io e non altri surrogati. Come dire: “non sono venuto a spegnere la vostra fame, ma ad orientarla verso qualcosa di grande e appassionante”. Solo questa tensione inquieta – ha concluso don Domenico – preserva la libertà dell’uomo che non può essere barattata in nome di nient’altro. Al punto che solo quando siamo inquieti… possiamo star tranquilli».