Serafico, cioè legato agli angeli, ai serafini. Durante la celebrazione del 2 ottobre al santuario di Poggio Bustone, il vescovo Domenico ha ricordato come san Francesco venerasse profondamente gli angeli. Ne sono prova tante citazioni dalle Fonti francescane, ma anche la basilica di Santa Maria degli Angeli, «che circonda la Porziuncola, in cui Francesco vide un luogo favorito da grazie più abbondanti e da frequenti visite di spiriti angelici».
Questo rapporto immediato, spontaneo e persistente con gli angeli, ha notato il vescovo, «stupisce noi postmoderni». È vero infatti che gli angeli suscitano curiosità e sono oggetto di successi cinematografici e commerciali, ma «sembrano essere un ricordo che si perde all’indietro» e «facciamo fatica ad avvertirne la presenza». È forse questo, azzarda mons Pompili, che «spiega perché tanta gente si sente sola e abbandonata».
Una «dritta» per capire cosa manca a per avvertire con la spontaneità di san Francesco «la presenza di questi esseri che ci camminano avanti, ci custodiscono e ci sono compagni», don Domenico l’ha trovata nel brano evangelico in cui Gesù prende un bambino e lo mette al centro come il «più grande nel Regno dei Cieli». Il bambino, infatti, «è la misura della vera umanità: è assorbente, ricettivo, aperto», mentre oggi «siamo troppo armati, abbiamo troppe armature che ci appesantiscono» e ci impediscono di sentire «la figura silente» dell’angelo.
«L’angelo – ha concluso il vescovo – è quella voce che dice cosa fare e cosa evitare di fare; è quella voce che ci permette di collegare non solo la bocca al cervello, ma entrambi al cuore; è quella voce che ci aiuta a non reagire di pancia a quello che ci accade, ma a saperlo rielaborare».
In questo senso gli angeli ci fanno sentire in compagnia e ci custodiscono, e per questo «è così importante che ciascuno di noi possa dare del “tu” al nostro angelo custode».