Azione Cattolica

Il vescovo Domenico agli educatori: «l’ultima parola della vostra regola spirituale è “servizio”»

In conclusione della tre giorni interdiocesana di Contigliano, monsignor Pompili ha celebrato la Santa Messa definendo lo stile di un servizio capace di uscire dalla logica di sé stessi per aprirsi a quella di Cristo.

L’ultima parola della “regola spirituale di un educatore” è “servizio”. E il vescovo Domenico la presenta, ai partecipanti alla tre giorni interdiocesana di Contigliano, definendo lo stile di un servizio capace di uscire dalla logica di sé stessi per aprirsi a quella di Cristo, che, nelle parole del Vangelo domenicale, ai discepoli la dice tutta e la dice diretta sulla necessità di tagliare tutto ciò che al vero servizio è di ostacolo.

Lo stile di un servizio capace di uscire dalla logica di sé stessi per aprirsi a quella di Cristo, che, nelle parole del Vangelo domenicale, ai discepoli la dice tutta e la dice diretta sulla necessità di tagliare tutto ciò che al vero servizio è di ostacolo.

La terza giornata del mini-campo di Contigliano si apre con la Messa che il presule, affiancato dall’assistente diocesano don Zdenek, celebra nel salone del centro pastorale con i partecipanti alla tre giorni e altri aggiuntisi per l’occasione. E l’omelia monsignor Pompili la fa partire dal brano veterotestamentario che la liturgia domenicale propone come un’esortazione a non creare steccati tra chi è “dei nostri” e chi no.

Col suo “Sei tu forse geloso di me? Fossero tutti profeti…” Mosè, sottolinea il vescovo «replica sui denti al giovane Giosuè scandalizzato per due che non si sono recati alla tenda hanno osato profetizzare nonostante non fossero tra i 70 anziani identificati» come quelli “giusti” a profetizzare, facendoci così capire, spiega don Domenico, «che lo Spirito non può essere costretto tra le nostre forme di limitazione: san Tommaso ci diceva già nel medioevo che il bene da qualunque parte provenga viene dallo Spirito».

Il pericolo del settarismo, sempre presente nella Chiesa di tutti i tempi, «quella tendenza a dividere come nei film western i buoni e i cattivi, i nostri e gli altri». Del resto, commenta Pompili, questa è oggi «una epidemia innanzitutto sociale: i social ci portano a discutere e confrontarci solo con quelli che ci sono affini, quelli che ci sono congeniali, così perdiamo la qualità del dialogo facendo emergere soltanto intransigenza. Ma anche a livello ecclesiale tendiamo a dividerci tra chi sta dentro e chi sta fuori», dimenticando quel che affermava sant’Agostino nell’avvertirci che molti di quelli che sembrano stare “fuori” in realtà stanno dentro e viceversa, perché «si può stare fuori dall’esperienza ed essere vicini a Dio».

E Gesù nel Vangelo, prosegue il vescovo, «rincara la dose» verso i discepoli che si scandalizzano per uno che scaccia i demoni ma non è “dei nostri”.

Don Domenico ricorda che «Gesù risponde come Mosè: “chi non è contro di noi è per noi”. Ma oggi forse nel retropensiero dei credenti si tende a ricordare solo quell’altra sentenza di Gesù che sembrerebbe dire apparentemente il contrario: “Chi non è con me è contro di me”… Ma Gesù non è bipolare, non è contraddittorio: “Chi non è con me è contro di me” è detto a quei cristiani indecisi che non prendono mai una posizione», mentre la frase del Vangelo odierno «dice che si può essere dalla nostra parte anche se non si è nel nostro gruppo. Quello che decide se stiamo dentro o fuori è la qualità della nostra relazione con Gesù».

Infine, «una delle stilettate del Maestro in cui con parole ruvide dice che per evitare lo scandalo bisogna essere pronti a cavarsi occhi, mani, piedi…». Quel che il Signore vuol dire, spiega Pompili, è «che piuttosto che verso gli altri occorre esercitare “violenza” su noi stessi: noi, anche noi educatori Acr, diciamo sempre che il problema sono sempre “gli altri”… il parroco, gli altri educatori, le famiglie, i ragazzi… E invece Gesù ci fa comprendere che il problema siamo noi», invitandoci a tagliare la mano: essa è il simbolo del fare, dell’agire, va tagliata quando diventa una “mano morta”: quando nel rapporto educativo coi ragazzi non sei più tu che stai facendo da traino, ma sei una mano morta. Allora c’è l’educatore guru, ammantato di aura, l’educatore psicologo che crea rapporto di dipendenza in cui tutto dipende da lui… Quando è così l’educatore “mano morta” deve tagliarla questa mano».

Poi Gesù ci dice di tagliare il piede: il piede, spiega monsignore, «dice dove andare, esercita la funzione di andare incontro. Ma molte volte ci può essere un piede che non va. Il piede va tagliato quando diventiamo stanziale, quando noi ci rassegniamo sul “non viene nessuno”, mentre il piede deve portarci ad andare incontro, a inventarci delle iniziative, perché se si chiama AZIONE Cattolica l’accento dev’essere posto sul FARE, non solo sullo stare. Per questo se un piede ci blocca meglio tagliarlo».

Terza cosa che Gesù invita a cavare è l’occhio: «l’occhio è ciò che diamo a vedere ma anche ciò che noi guardiamo, ciò che ci fa comprendere la realtà: se è un occhio invidioso ci porta fuori strada, se è un occhio depresso ci porta sicuramente dalla parte sbagliata. Per questo meglio vederci con un occhio solo che ci fa scorgere la realtà, le tante possibilità che ci sono, perché oggi l’ACR è più attuale ancora di quando è stata inventata, perché la società è allo sbando, la domanda oggi è ancora più forte. E un occhio che sa vedere non si lascia compromettere dall’altro, è meglio che vada cavato».

E quindi, conclude il vescovo, «allora ancora una volta Gesù ci invita a fare la nostra opera su noi stessi, questa autodistruzione dell’educatore che è decisiva, perché l’educatore fa la qualità del gruppo. E allora questa opera di definizione che è sempre in corso, cambiando sé stesso. Come scriveva Lev Tolstoj: “Tutti pensano di cambiare, nessuno pensa a cambiare se stesso”».

Al termine della celebrazione, a tutti la consegna di un braccialetto con il tau francescano, simbolo di quell’essere “segnati” da uno stile di appartenenza e di servizio: tau che il vescovo benedice e consegna a tutti.