«Il padre vi ama»

Come la GMG dell’anno precedente, anche la XIV, celebrata a livello diocesano nella domenica delle Palme del 28 marzo del 1998, fu pensata in vista del Grande Giubileo del 2000. Il tema scelto, legato alla figura di Dio padre, già nelle primissime righe del messaggio del gennaio dello stesso anno, invitava i giovani a “dilatare gli orizzonti” e cogliere con gratitudine e meraviglia “la sorprendete rivelazione di Gesù: il Padre vi ama”. L’amore di Dio verso l’uomo, verso i giovani, fu  posto al centro della riflessione loro proposta.

Ecco le parole del Papa: “accogliete l’amore che Dio per primo vi dona (cfr 1 Gv 4, 19). Rimanete ancorati a questa certezza, la sola capace di dare senso, forza e gioia alla vita: non si allontanerà mai da voi il suo amore, non verrà mai meno la sua alleanza di pace con voi”. Nella preghiera del Padre Nostro, “sintesi di tutto il Vangelo”, ci si riconosce figli e fratelli, due condizioni esistenziali nelle quali l’amore trova naturale e potente espressione, dove ben si può comprendere l’immagine usata da Giovanni Paolo II quando parla del Padre come “respiro” del figlio.

Il Papa torna su questo rapporto, sottolineando che è il Padre che propone, costruisce e realizza il suo amore con l’intera umanità, un atto reso possibile in virtù del sacrificio del Figlio, e nonostante i rifiuti di cui l’uomo è capace, Dio lo amerà fino alla fine: “Il Padre vi ama” da sempre e per sempre: questa è la novità inaudita”. Questa speranza trova un alveo particolarmente privilegiato proprio nei giovani, credenti e battezzati che fanno parte del popolo di Dio. Ad essi il Pontefice rivolse parole importanti e sempre vere, perché la Chiesa ha bisogno di missionari “che sappiano proclamare con la parola e con l’esempio questa fondamentale, consolante certezza. Consapevoli di ciò voi, giovani di oggi e adulti del nuovo millennio, lasciatevi “formare” alla scuola di Gesù. Nella Chiesa e nei vari ambienti in cui si svolge la vostra esistenza quotidiana diventate testimoni credibili dell’amore del Padre! Rendetelo visibile nelle scelte e negli atteggiamenti, nel modo di accogliere le persone e di mettervi al loro servizio, nel fedele rispetto della volontà di Dio e dei suoi Comandamenti”.

L’amore paterno di Dio non è mai un “vuoto” a perdere, perché, continua il Pontefice, “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14, 21). Un amore che assume tante forme, tutte autentiche, perché ancorate alla paternità di Dio: i genitori, gli educatori, i sacerdoti.  Del resto come potrebbe vivere l’uomo senza amore ? Una domanda centrale del messaggio preparatorio, alla quale il Papa risponde in modo inequivocabile citando la Redempoter hominis, 10: “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente”.

L’amore di Dio va alimentato, coltivato, sostenuto, e i sacramenti consentono tutto ciò, soprattutto la riconciliazione – penitenza che offre all’uomo la grande opportunità di essere perdonato e ritrovare la piena comunione con il Padre. L’amore verso Dio svela all’uomo se stesso, consentendogli di sperimentare il proprio limite di creatura, quel limite, quel senso del peccato, che sembra essere smarrito e dal quale dipendono tanti problemi della società contemporanea. “Guardatevi dentro”, esorta il Papa, “Prima che contro una legge o una norma morale, il peccato è contro Dio (cfr Sal 50 [51], 6), contro i fratelli e contro voi stessi”.

L’amore quindi come “parametro” di riferimento e verifica della nostra umanità e fede, tanto che “se si ama veramente Dio, occorre verificare se si ama sul serio il prossimo”, i poveri che sono sempre tra noi. Non si tratta solo di cogliere la povertà e impegnarci a fare qualcosa per eliminarla, ma guardare a questa realtà con occhi molto più attenti e un approccio assai più impegnato. La povertà è infatti di una questione  che “deve diventare anche impegno sociale e politico, perché il problema della povertà nel mondo dipende da condizioni concrete che devono essere trasformate da uomini e donne di buona volontà, costruttori della civiltà dell’amore. Sono “strutture di peccato” che non possono essere vinte se non con la collaborazione di tutti, nella disponibilità a “perdersi” per l’altro invece di sfruttarlo, a “servirlo” invece di opprimerlo (cfr. Sollicitudo rei socialis, 38).