Proviamo a suggerire ed evocare almeno un po’ della meraviglia e delle emozioni che può suscitare la visita al Museo dell’olio di Castelnuovo di Farfa.
Ancora prima di varcare la soglia della porta d’ingresso ci accoglie un opera: una scultura scritta sul muretto di fronte all’entrata. Brevi frasi incastonate in linee curve che sembrano traiettorie di uccelli. L’artista Maria Lai con poche parole traccia un legame tra arte e olio, inciso in un verde che richiama immediatamente le foglie d’ulivo. La prima parte del museo è dedicata proprio all’artista sarda.
Si parte da “l’albero della poesia” con una sorta di racconto-lirica scritto sulla “chioma” di doghe che crea l’illusione del vento, ovvero il protagonista del testo insieme agli ulivi. Proseguendo c’è una ricostruzione del meccanismo d’orologio con cinque parole chiave che legano nuovamente olio e arte (sasso, solco, sole, scure e sale). Da qui parte un filo dorato, un filo d’olio, che giuda attraverso altre istallazioni fino a diventare protagonista in un groviglio piatto che unisce caos e ordine, geometria e confusione; ancora riferimenti all’arte e alla poesia. Altre piccole opere sulle nere pareti e tutto finisce con una goccia, un piccolo punto d’oro, alfa e omega dell’intero percorso.
Due passi e l’atmosfera cambia completamente. Muri bianchi si alternano a pietre antiche. In un quadrato di sabbia riposano sculture di Alik Cavaliere. In realtà si tratta di resti di laboratorio, fusioni incompiute e sconnesse, opere magnifiche che nascondono e custodiscono qualcosa che non vedremo mai. Altra opera, altro mondo.
Una stretta e lunga grotta, con tanto di gelida goccia di condensa, che scende fino ad un oscuro specchio d’acqua. Qui è l’universo stesso ad essere riflesso attraverso lo sguardo di Hidetoshi Nagasawa. Un albero di metallo scende dal soffitto e abbassando lo sguardo si ammira un cielo di candeline su barchette di rame galleggianti. Arrugginendo l’albero ha acquisito lo stesso colore degli ulivi richiamando ancora, in modo diverso, il tema del museo.
Lasciata la caverna si sale. Scale a chioccia portano al piano superiore con gli antichi strumenti agricoli e torchi di frantoi storici. Dopo aver assaporato le opere d’arte tutto si carica di un significato inedito.
Ma lo stupore non si ferma qui. Un stanza con disegni tecnici appesi come quadri si riempie di colpi sonori, ancora non si può capire da cosa provengano. Si entra allora in una cella olearia con giare trasformata in un’istallazione, in un meccanismo complesso ed elegante. L’olio, inserito in un circuito chiuso, passa attraverso rubinetti e contenitori differenziati per creare la musica amplificata di una goccia. È la prima parte di un “oleofono”, un opera visiva e sonora dei musicisti Gianandrea Gazzola e Ille Strazza.
Il pezzo forte si trova però in un altro ambiente. Il tronco di un olivo centenario gira lentamente muovendo a sua volta delle dita metalliche. L’intero sistema da vita ad una partitura sempre diversa. Il risultato è un suono tipicamente contemporaneo, di quelli difficili da ascoltare in sottofondo. Nel museo invece queste note “spremute” dall’olio hanno un potere ipnotico, si vorrebbe non dover abbandonare mai più quella magia.
Il museo continua. Video arte, registrazioni di canti tradizionali, il vecchio frantoio e altro ancora. Ci siamo concentrati sulle prestigiose opere d’arte contemporanea per tentare di restituire la sensazione di mistero che dona la visita al Museo dell’olio. Il mistero che lega, mediante invisibili fili storici e culturali, l’olio e l’arte. Un’unica oliva-uovo, come ricorda lo stemma che campeggia sopra la porta d’ingresso, da cui poeticamente provengo entrambi.