Il declino dell’uomo pubblico

Cosa ne è della città quando la dimensione pubblica dell’economia, della politica, della socialità, dei servizi si ritrae?

Assistiamo al declino dell’uomo pubblico, alla rottura dell’equilibrio che dovrebbe legare tra loro le due essenziali dimensioni d’ogni persona: la dimensione pubblica, collettiva, comune e la dimensione privata, individuale, intima. È quell’equilibrio che si esprimeva fisicamente nei nostri centri storici, là dove la strada (non invasa dalle auto) e la piazza costituivano il naturale prolungamento della vita che si svolgeva nell’abitazione.

L’uomo è stato ridotto alla sua dimensione economica: prima alla condizione di mero strumento della produzione di merci, poi a quella di mero strumento del consumo di merci prodotte in modo ridondante, opulento, superfluo. L’alienazione del lavoro prima, l’alienazione del consumo poi. Il lavoratore ridotto a venditore della propria forza lavoro prima, il cittadino ridotto a cliente poi.

La politica è diventata a sua volta serva dell’economia, appiattita sul breve periodo, priva della capacità di costruire un convincente progetto di società: priva della capacità di analizzare e di proporre.

Si è diffuso un modello economico-sociale devastante, che diviene la matrice culturale dell’opinione corrente, del pensiero unico inculcato a quel che resta dei popoli, e soprattutto della strategia dalla quale nascono le politiche europee e mondiali.

Politiche che accentuano tutti i fenomeni di segregazione, discriminazione, diseguaglianza che già esistono nelle nostre città. Lo smantellamento delle conquiste del welfare urbano ne sono una componente aggressiva, soprattutto nel nostro paese dove non c’è mai stata un’amministrazione pubblica autorevole, qualificata, competente.

Un’altra componente è la tendenziale privatizzazione d’ogni bene comune, nella città e nel territorio, che può dar luogo a guadagni privati: dall’acqua agli spazi pubblici, dall’università alla casa per i meno abbienti, dall’assistenza sanitaria ai trasporti. La città diventa una merce: nel suo insieme e nelle sue parti.

Lo spazio urbano scade al rango di coltura per interessi privati sovrapposti, che si palesano nello sfruttamento incosciente del suolo, nell’aggressione al lavoro, ed al complesso dei diritti nei quali si realizza il concetto di cittadinanza. I gruppi sociali vengono inquadrati nel sistema città nei luoghi assegnati loro dalle dinamiche economico-sociali o dai processi sottilmente oppressivi di cui sono oggetto. Lo spazio urbano diviene specchio del pensiero egemone: stop alla politica ed alla pubblica dimensione, in cambio dell’avanzata dei sommi sacerdoti del denaro, dispensatori di miracoli e di salvifici rimedi.

Il bilancio pubblico è al collasso? Il Comune non riesce più a garantire nemmeno i servizi essenziali? Poco male; ci sono pur sempre gli appositi moduli da riempire di fondazioni e banche ad assicurare computer e pulmini per le scuole dei vostri figli o le ambulanze con le quali qualcuno proverà a salvarvi la vita.

Nasce la città nella città, autonoma e dominatrice, in cui il potere si concentra, s’arrocca in luoghi selezionati, trasforma le aziende municipalizzate nel proprio braccio secolare e la cittadinanza in una nuova ed odiosa forma di sudditanza: il soldo è il maestro e chiede ai cittadini di esercitarsi nel gioco del silenzio; le regole sono un impaccio, devono essere ridotte al minimo, solo a far funzionare la città così come serve a chi comanda. La politica si riduce alla tecnicità disincarnata della gestione dell’esistente, mentre l’emarginazione, la segregazione e la rimozione diventano pratiche di pianificazione.

Torniamo allora a batterci per gli spazi pubblici e per la Storia di cui sono figli, perché hanno avuto, hanno ed avranno un peso rilevantissimo, perché la città nella storia si forma, si organizza, acquista la propria identità e sviluppa la propria forza negli spazi pubblici, perché negli spazi pubblici si manifesta pienamente, si realizza quel trascendimento dall’individuale al sociale, dal privato al pubblico, dall’intimo all’aperto, dal singolare al collettivo nel quale si realizza la società, perché gli spazi pubblici costituiscono il solo luogo nel quale può manifestarsi la politica, cioè l’intervento del cittadino nel governo della città.