Il ritrovamento di un’opera a Tolosa riaccende l’interesse intorno al maestro
Il ritrovamento in una soffitta a Tolosa di un presunto quadro del Caravaggio, per la precisione della “Giuditta che decapita Oloferne”, ha riacceso un nuovo interesse per le opere del maestro e, come spesso capita in questi casi, ha aperto una disputa tra chi considera l’opera autentica e chi invece tende ad attribuirla a un suo seguace, abile imitatore, individuato nel pittore fiammingo Louis Finson. Senza volerci addentrare nell’attribuzione dell’opera ciò che risulta particolarmente significativa è importante riflettere sul fenomeno dei cosiddetti ‘Caravaggisti’. L’arte di Michelangelo Merisi fu straordinariamente rivoluzionaria, non solo per la tecnica e per lo stile, ma anche per la sua nuova interpretazione dei temi religiosi: come quello centrale della Salvezza affrontata in modo così impetuoso e diretto (luce-salvezza e ombra-peccato) e in piena adesione allo spirito della Controriforma.
La rivoluzione di Caravaggio attraversò l’intera penisola coinvolgendo una nutrita compagine di artisti di varia estrazione, e non fu un fenomeno limitato alla sola Italia ma di portata europea. L’attributo “Caravaggisti” serve ad individuare quei maestri che aderirono al linguaggio nuovo del Merisi, ma senza dimenticare la propria cifra stilistica. Fu il caso di uno dei suoi più acerrimi nemici, ovvero Giovanni Baglioni, epigono della pittura manierista che pur difendendo il nobile stile di tradizione classicista, non poté fare a meno, per un periodo della sua vita, di assecondare il modello Caravaggio.
Le opere del maestro lombardo erano d’altra parte molto richieste dalla committenza ma era altrettanto impossibile procurarsi tele originali e alcuni collezionisti si accontentavano di copie, realizzate in maniera eccellente. Sono note le due versioni dell’“Incredulità di Tommaso” del 1606, come ancor più noti sono i copisti di professione come il pittore romano Angelo Caroselli, che firmava le sue copie con il monogramma AC, o Carlo Mangone autore di alcune versioni del “Suonatore di liuto” e dei “Giocatori di carte”.
Ben diversa fu invece l’adesione al caravaggismo di coloro che erano artisti già affermati come Bartolomeo Manfredi che sviluppò una serie di opere concentrandosi sulla creazione di scene di genere e attingendo quella carica realismo meticoloso tipico del Caravaggio. Nella tela “La stanza delle guardie” (Dresda, Gemäldegalerie) eseguita tra il 1615 ed il 1620, la scena si svolge all’interno di un luogo buio, appena illuminato. Qui una serie di guardie appoggiate su un antico sarcofago figurato, sono intente in varie azioni: c’è chi gioca a carte (chiaro riferimento ai celebri bari), c’è chi riceve un tributo (riferimento al San Matteo).
Un centro nevralgico della diffusione del caravaggismo in Italia fu Napoli, grazie soprattutto a Battistello Caracciolo e Jacopo de Ribera. In particolare Ribera riversò nelle proprie opere una carica brutale e talvolta eccessiva, con i suoi santi e filosofi, figure di popolani al limite della povertà e dell’emarginazione.
Gli artisti francesi indirizzarono diversamente le loro ricerche sui temi della vita quotidiana. Nei loro dipinti compaiono vegliardi stracciati e rugosi, vecchie sdentate, rozzi soldati e anche i temi biblici vengono spogliati della loro sacralità come nella “Nascita della Vergine” (Roma, chiesa di San Francesco a Ripa) di Simon Vouet. Pienamente sentita fu l’adesione al caravaggismo da parte dei pittori fiamminghi, anche perché alcune opere del maestro furono portate nei Paesi Bassi dal già menzionato Louis Finson. Sono i documenti a citare nel 1617 una “Giuditta ed Oloferne” ad Amserdam (oggi perduta). Ma Finson, oltre a essere l’iniziatore e il propagandista del nuovo stile, fu anche uno tra i più abili copisti del maestro unendo l’attività di pittore a quella di mercante d’arte. Fu a Napoli e in Provenza, e i suoi viaggi gli permisero di sviluppare un linguaggio ecclettico, fondendo tardomanierismo e nuovo stile, e fu inoltre uno dei pochi a conoscere personalmente il Merisi. Una delle sue opere più conosciute la “Resurrezione di Cristo” (Aix-en-Provence, Sanit-Jean de Malte) fu così caravaggesca che lo storico dell’arte Roberto Longhi ipotizzò che fosse un’interpretazione del medesimo dipinto del Caravaggio a Napoli, perduto a causa del terremoto del 1805.
E così ritorniamo al punto di partenza, al Caravaggio, vero o presunto, ritrovato. Copia di Finson? Opera autentica del maestro? Certo è che Caravaggio fu un vero ciclone che investì l’Italia e l’Europa intera. Ai critici l’ardua sentenza!!!