Valle del Primo Presepe

Idea, immagine e sentimento: conclusa al Vespasiano la Valle del Primo Presepe

Il ciclo di eventi della Valle del Primo Presepe si è concluso nella serata del 5 dicembre nel teatro Flavio Vespasiano, con il concerto dell'Anonima Frottolisti e le premiazioni dei vincitori dei concorsi collegati alla manifestazione. A consegnare i premi le tante realà che hanno contribuito alla riuscita della manifestazione: tra gli altri i frati di Greccio, il Comune di Rieti, l'Associazione Italiana Amici del Presepio e il maestro Francesco Artese

È stata un proposta culturalmente impegnativa quella del concerto conclusivo della seconda edizione della Valle del Presepe. Il repertorio scelto dall’Anonima Frottolisti, un viaggio sonoro dal gregoriano alla musica rinascimentale, poteva intimorire. E invece il concerto è riuscito piacevole, coinvolgente, popolare nel senso migliore.

Un tratto comune a tutte le iniziative comprese nel progetto promosso dalla Chiesa di Rieti con i Comuni di Greccio e Rieti, capace di coniugare spiritualità, intrattenimento e cultura, di abbracciare tanto l’antico quanto il contemporaneo. Un’operazione riuscita perché fondata su qualcosa di decisivo: il mistero dell’incarnazione. Una dimensione aperta tanto alla riflessione più profonda, quanto alla pietà popolare.

L’ha ricordato anche il vescovo Domenico chiudendo, con il sindaco Cicchetti al suo fianco, la serata al Vespasiano: «Verbum caro factum est, il Verbo si è fatto carne. Questa voce attraversa la storia e l’ha divisa a metà: prima e dopo Cristo. Questa voce è nata in Medio Oriente e poi si è diffusa in tutto il mondo». L’idea della Valle del Primo Presepe è tutta qui: «tornare a ciò che significa la notizia intorno all’incarnazione di Dio».

E questo qualcosa è il presepe: «un’immagine molto famigliare, che è nata qui, a Greccio». Non un presepe qualunque, dunque, ma «quello di Francesco», che ha visto il frate rispondere alla «necessità di far vedere con gli occhi della carne quello che era accaduto a Betlemme». A questa esigenza hanno voluto corrispondere i tanti luoghi in cui erano presenti i presepi: si è trattato di «fissare l’immagine» evocata da Francesco a Greccio.

Per ricavarne un sentimento, quello «che abbiamo raccolto molte volte incrociando gli sguardi di quanti stavano contemplando il presepe: un sentimento che ci porta avanti con fiducia e con speranza». Un qualcosa che torna utile in una città e in una provincia «che non vivono un momento favorevole», come riconosciuto dal sindaco, ma che spinge molto oltre, perché «fa ritrovare più umani».

È in questo senso, ha concluso il vescovo, che «non siamo noi a fare il presepio, ma è il presepio, nella misura in cui lo contempliamo, che fa noi». Come individui, e come città.