Gli USA e il popolo di Obama

Ma il sostegno può non bastare, in assenza di una maggioranza al Congresso.

Lungo la Pennsylvania Avenue la folla è di nuovo impazzita al passaggio di Obama e Joe Biden con le loro mogli. Quattro anni fa, quando Obama aveva sfilato per la prima volta tra quella folla commossa, il Paese era soffocato da una crisi economica pesantissima provocata da chi aveva voluto la deregulation del mercato finanziario, mentre sul piano internazionale gli Usa erano impantanati nelle campagne militari in Iraq e Afghanistan. Obama allora costruì il suo discorso inaugurale sull’uguaglianza di ogni persona, promise di regolare il mercato, di uscire dall’Iraq e di estendere i diritti in patria. L’iniziativa politica che caratterizzò i primi mesi di presidenza accese speranza in tutto il mondo, rese Obama popolarissimo e gli fece vincere in modo piuttosto inatteso il premio Nobel per la Pace.

A quattro anni di distanza il mondo non è diventato un’isola rosa e felice, ma nel quadro in chiaro scuro è possibile riconoscere la realizzazione di alcune di quelle promesse. È stato varato il Frank Dodd Act che reintroduce un sistema di regole nel mercato finanziario per riportare responsabilità nel comportamento degli operatori. Sul piano economico sono stati attivati numerosi stimoli espansivi che hanno beneficato diversi settori, a cominciare da quello dell’auto. Il mercato finanziario si è effettivamente ripreso anche grazie alla nuova legge, ma ancora non è ripartito un ciclo che sia in grado di contenere il debito pubblico. Inoltre il sistema di protezione sociale degli Usa, leggerissimo, non ha garantito una difesa della dignità della vita di chi ha subito la crisi come è accaduto invece in Europa. In questo, però, Obama non ha molto spazio. Un parlamento più lungimirante autorizzerebbe aumenti di debito nel breve periodo e un aumento del carico fiscale sui redditi più alti per finanziare stimoli espansivi e iniezioni di lavoro e reddito per i più poveri e il ceto medio, generando così nel medio periodo le risorse per il pagamento del debito iniziale. Ma in parlamento le resistenze repubblicane sono durissime. Lo si è visto anche sulla riforma sanitaria, la Obamacare, il vero fiore all’occhiello di questa Amministrazione, che ha visto reazioni davvero vergognose di fronte alla scelta di rendere accessibili le cure ad un maggior numero di cittadini.

Sul piano internazionale Obama ha ereditato due situazioni terribili in Iraq e Afghanistan. Ha rispettato i tempi, ma ha dovuto farlo camminando lungo un percorso delicatissimo pieno non solo degli ostacoli interni ai due Paesi, ma anche delle insidie create dai mille giochi di potere autoreferenziale radicatisi nell’esercito durante l’Amministrazione precedente. Ne sono una testimonianza le numerose rotazioni necessarie in soli quattro anni nei ruoli più delicati dei vertici militari e dei servizi, spesso a causa di scandali imbarazzanti. Né a bilanciare può essere ascritto fra i successi l’uccisione di un uomo, per quanto pericoloso potesse essere Osama Bin Laden.

Che cosa caratterizzerà i quattro anni del secondo mandato?. In politica estera rimarranno le emergenze Afghanistan e Iraq, naturalmente, cui si aggiunge la relazione con l’Iran. Nel 2009 Obama offrì una mano tesa, ma il regime iraniano la rifiutò altezzoso. Quell’offerta da un lato diede un riferimento ai movimenti di protesta iraniani del 2009 (che si stanno preparando alle imminenti nuove elezioni presidenziali del giugno 2013) ed evitò agli Usa l’isolamento in cui rischiavano di trovarsi sul dossier nucleare di Teheran tuttora aperto. Una partita delicatissima sarà l’evoluzione della ‘primavera araba’, un movimento di grande portata che richiederà un tempo di assestamento lungo e con equilibri non scontati, come dimostrano le vicende di questi giorni in Mali e in Algeria. Obama ha equilibrio e visione per continuare a costruire ponti diplomatici come è stato fatto in questi quattro anni anche grazie alla instancabile Hillary Rodham Clinton. Contemporaneamente proseguirà il dialogo con l’area latinoamericana e con i Paesi asiatici, gestendo con loro la relazione con una Cina sempre più attiva sul piano internazionale, ma con sempre maggiori difficoltà interne. Nel discorso inaugurale è comparso anche un riferimento deciso all’ambiente. Potrebbe rivelare una iniziativa nuova, senz’altro benvenuta, vista la storica rigidità Usa in questo ambito.

La sfida più difficile però appare quella in politica interna. Obama ha vinto le elezioni, ma non la maggioranza al Congresso. Un clima politico violentissimo, alimentato soprattutto da parte repubblicana, può dividere irresponsabilmente la nazione. Obama ha la determinazione, la coerenza e la legittimazione per provare in questi quattro anni a ricomporre il Paese, ricreando un clima di unità nazionale. Il suo discorso inaugurale va in questa direzione. Ancora una volta lo ha fondato sui diritti, e ha insistito sull’esigenza del contributo di tutti. ‘Insieme’ è la parola più usata nel discorso, con l’enfatico “We, the people”. Per ricomporre il Paese Obama ha a disposizione l’eredità di Martin Luther King, sulla cui Bibbia ha giurato, a 50 anni dal suo assassinio. È un’eredità grande e difficile. Per la coerenza che ha mostrato in questi quattro anni oggi Obama è l’uomo che più di altri può metterla a disposizione del Paese. Il milione di persone che lo applaudiva in Pennsylvania Avenue gli chiedeva esattamente questo.