Per tutti è una certezza. Per molti un punto di riferimento. Qualcuno prova a starne alla larga, ma per nessuno è indifferente. È il Giugno Antoniano Reatino, che si ripete ogni anno apparentemente identico e in realtà mai uguale all’edizione precedente. Un’esperienza che si rinnova un passo alla volta senza tradire la propria essenza, in grado di attraversare il sentimento popolare e le devozioni più semplici, ma anche di reggere il confronto con approcci più ragionati. Il Giugno Antoniano è un fenomeno unico. Attiene alla sfera della tradizione, ma non solo. A suo modo sta bene nella categoria dei “classici”, traslando nel sociale intuizioni nate per la letteratura.
Come certi grandi libri, infatti, il Giugno Antoniano non finisce mai di dire quello che ha da dire; è sempre quello, ma sempre offre qualcosa di nuovo; è aperto al futuro, ma mostra dietro di sé la traccia lasciata nel tempo che ha attraversato; provoca un incessantemente pulviscolo di discorsi su di sé, e sempre li supera; si crede basti conoscerlo per sentito dire, ma avvicinandosi davvero lascia scoprire aspetti nuovi, angoli inediti, cose inaspettate.
Di certo la devozione antoniana a Rieti ha una radice profonda e lascia trasparire qualcosa di autentico e umano. Attiene alle fragilità, al bisogno di un mediazione con il sacro e l’ineffabile, ma anche al bisogno di festa, di contatto, di evasione. Lo si legge nelle dinamiche interne alla Pia Unione, che porta avanti l’impegno di progettare, organizzare e far funzionare ogni anno l’evento. La vestizione della statua, la rituale estrazione dei portatori, le scelte sugli intrattenimenti e sull’offerta culturale: ogni cosa si conforma a un canone, segue una precisa disciplina. E lo stesso si verifica nella partecipazione della città alla questua, nell’attesa per il pane e per la cioccolata calda, nel pensiero al rituale collettivo della Processione dei Ceri, con le sue sfaccettature sacre e profane.
Il Giugno Antoniano arricchisce di senso elementi legati al cibo e alla convivialità: dalla moltiplicata dolcezza dei tipici “biscottoni” al sovrapporsi di significati del Pane di Sant’Antonio. Nel segno della devozione persino il rapporto con le piante acquisisce spessore: nella spiga che richiama alla vita agricola nella piana, nei gigli donati e presi dai fedeli, nella rosa offerta ai portatori ci sono messaggi semplici e immediati, ma forse anche sottintesi che oramai ci sfuggono.
Più che un mese di liturgie, eventi, attività, il Giugno Antoniano è l’emergere di un mondo fatto di abitudini e fede, di licenze e ortodossie, di momenti di tensione e occasioni di solidarietà, nel tentativo sempre imperfetto di una sintesi tra le luminarie nelle strade e il raccoglimento da vivere in chiesa, tra il silenzio della preghiera e l’eco dei concerti, tra il messaggio di sobria povertà del frate francescano e l’oro addossato al suo simulacro: non per ostentare ricchezza, ma per restituire la testimonianza di una grazia ottenuta, di un sacrificio consumato, di una sofferenza alleviata.
Un rapporto tra le persone e il santo vissuto esprimendo i sentimenti più intimi e preziosi attraverso le cose concrete. Lo si vede dalla raccolta sempre generosa della questua. Impegna una quarantina di confratelli, ma raccoglie il dono di tanti, ciascuno secondo le proprie possibilità e i propri sentimenti, seguendo una personale pista di logiche e credenze, aspettative e convinzioni. Una partecipazione collettiva che mette alla pari, che rende la festa un patrimonio comune, una casa per tutti. Così non fosse, nessuno scenderebbe in strada già di notte, nel giorno della processione, per infiorare i quartieri, disegnare devozioni, ammorbidire il passaggio della macchina stendendo sotto i piedi dei portatori un tappeto di petali, steli e foglie fresche, mesi di caffè, riso e segatura raccolti e colorati, fiori secchi sminuzzati e ricomposti in quadri tanto effimeri quanto belli, sinceri e delicati, distesi sull’asfalto mentre un sole che già parla di luglio a poco a poco si alza e prima di pranzo già picchia duro sulle teste e sulle schiene.
Tutto uguale ogni anno, eppure ogni anno tutto nuovo, o almeno di nuovo, quasi a voler fare della ripetizione un riparo, un argine a una realtà sempre più incerta, confusa e imprevedibile. Ma senza rigidità, sapendo anzi modellare la festa al mutare delle esigenze, ai cambiamenti di contesto. Come negli anni più duri del Covid, durante i quali il Giugno Antoniano è stato vissuto mettendo in conto le restrizioni, ma sempre salvando l’anima della tradizione. Accade in modo meno evidente anche in questi giorni, che vedono la Pia Unione corrispondere alle esigenze di sicurezza maturate negli ultimi anni rispetto alle grandi manifestazioni pubbliche, in costante dialogo con le autorità.
E se nella chiesa di San Francesco occorre far spazio ai lavori importanti che la restituiranno alla città più bella e sicura, la macchina processionale e la statua si spostano anzitempo: la prima in Cattedrale, in attesa che il calendario faccia il suo corso, la seconda già nella basilica Sant’Agostino, che da qualche anno ospita l’impianto liturgico della festa. Nell’attesa di vederlo finalmente tornare a casa, in piazza San Francesco, i reatini sant’Antonio non lo perdono mai di vista, lo seguono senza indugio. Che poi è quello che il frate nato a Lisbona ha fatto nella sua vita: essere in movimento per tenere dietro alla Parola e annunciare a tutti il Vangelo, la Buona Notizia che sposta avanti ogni orizzonte.