Gesù, che si abbassa al livello dello schiavo, spazza ogni rango sociale

L’evangelista Giovanni è il solo a tramandare il gesto di Gesù, rimasto nella nostra liturgia del Giovedì Santo. Gesto noto, di cui forse troppo spesso sfugge la ragione: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Non è il lavaggio totale del corpo che salva, come voleva Pietro, ma quanto il lavaggio dei piedi rende evidente nel simbolo: la vita eterna con Gesù, radicata però non nella follia ma nella trasfigurazione del quotidiano

L’ospitalità contemporanea non contempla più il gesto antico del lavare i piedi all’ospite entrando in casa, dopo aver percorso strade polverose e fangose, in una società che inchiodava tutti in ruoli prestabiliti, dettati dal potere e dal denaro: lo schiavo li lavava al padrone, la moglie al marito, il figlio al padre.
Il gesto nostro, odierno, lo incarna Francesco, vescovo di Roma che presiede nella carità e ama la cultura che non solo rifiuta lo “scarto” ma lo predilige in persone e piedi feriti dal rifiuto nostro, dalla fatica di salvare l’unico bene che resta, la vita: “Facciamo vedere che è bello vivere insieme come fratelli, con culture, tradizioni e religioni differenti. Ma siamo tutti fratelli e questo ha un nome: pace e amore”.
“Scarto umano” ma fratelli e sorelle nostri: undici profughi – tre musulmani, tre copte, un indù, cinque cattolici – e un’operatrice del «Centro di accoglienza per richiedenti asilo» di Castelnuovo di Porto.
Abbattuto il neutro femminile o il maschile inclusivo, anche le donne riacquistano dignità propria in uno dei gesti in cui Francesco espone tutto se stesso: “I gesti parlano più delle immagini e delle parole. I gesti”.
“Oggi sono due”, afferma Francesco: «Gesù che serve, che lava i piedi, lui che era il capo lava i piedi ai suoi, ai più piccoli; e Giuda che va dai nemici di Gesù, da quelli che non vogliono la pace con Gesù, a prendere il denaro col quale lo ha tradito, le trenta monete”.
L’evangelista Giovanni è il solo a tramandare il gesto di Gesù, rimasto nella nostra liturgia del Giovedì santo. Gesto noto, di cui forse troppo spesso sfugge la ragione: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.  La rottura dello schema sociale annuncia non uno schema nuovo, corruttibile e passibile di cambiamento, ma una testimonianza assoluta, libera, di quanto significa vivere il Vangelo: Gesù, che si abbassa al rango dello schiavo, spazza ogni rango sociale. Gesù pensa secondo Dio, non secondo la società imperante e le aspettative di un Messia vittorioso e trionfatore.
Si deve trapassare allora dalla ripetizione del gesto, la lavanda dei piedi da parte di Gesù ai dodici apostoli stupefatti per lo scandalo, per l’insulto alla tradizione, alla sua simbologia più profonda:

il ripetersi non di un rito ma l’imporsi nella storia dell’emergenza della presenza di fratelli e sorelle che devono essere guardati non con la superbia di un padrone potente ma accolti con la totale umiltà di chi si fa schiavo per amore.

I piedi sporchi, lavati dall’amore, diventano sacramento, incarnazione visibile dell’amore di Cristo, con Francesco che poggia il suo sguardo sul volto di ognuno e vi si sofferma. È il suo “come”, la condizione della beatitudine infatti è proprio racchiusa nel “come”, nel farsi servi, perché Egli il Signore si è fatto servo.
Si santifica così la persona, come avevano intuito i Padri che consideravano la lavanda l’illuminazione degli apostoli prima della Santa Cena, solo allora possono aver parte con Lui alla Cena, alla sua passione e alla sua Risurrezione e, sottotraccia, si afferra il linguaggio battesimale.
Il passaggio simbolico tra i piani è evidente: non è il lavaggio totale del corpo che salva, come voleva Pietro, ma quanto il lavaggio dei piedi rende evidente nel simbolo: la vita eterna con Gesù, radicata però non nella follia ma nella trasfigurazione del quotidiano: «Anche oggi ci sono due gesti. Questo gesto, qui, tutti noi insieme, musulmani, indi, cattolici, copti, evangelici…ma fratelli, figli dello stesso Dio, che vogliamo vivere in pace, integrati. Un gesto. Tre giorni fa un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa. Gente che non vuole vivere in pace. Ma dietro quel gesto, come dietro Giuda, c’erano altri. Dietro Giuda c’erano quelli che hanno dato il denaro perché Gesù fosse consegnato. Dietro quel gesto ci sono i trafficanti di armi che vogliono il sangue, non la pace. Che vogliono la guerra, non la fratellanza».

Voce sommessa ma denuncia impavida.

Dono di paterna umiltà a tutti noi indistintamente, uomini e donne, indipendentemente dal proprio credo religioso “Noi, noi tutti insieme, diverse religioni e diverse culture, ma figli dello stesso Padre, fratelli. Ognuno nella sua lingua religiosa prega il Signore perché questa fratellanza si contagi nel mondo, perché non ci siano le trenta monete per uccidere il fratello, perché ci sia sempre la fratellanza e la bontà. Così sia».
Tutti e tutte fango, abitato però dal Soffio.