Gesù, il lebbroso e i discriminati: l’Unar e il moderno “korban”

Non so quanti sappiano dell’esistenza dell’Unar. Una sigla che, apparentemente, sembrerebbe non dir nulla. Un acronimo che ricorda l’Eiar  (la Rai di una volta) e con essa tanti altri enti, uffici, agenzie non sempre utili e fattive di cui il nostro paese è sempre stato luogo fecondo.

Per chi non lo sapesse, Unar sta per Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (www.unar.it). Istituito (e come poteva essere altrimenti) a seguito di una direttiva europea (2000/43/CE), questo Ufficio nasce con il decreto legislativo del 9.07.2003, n. 215 ed istituito presso il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un’iniziativa assolutamente lodevole, si badi bene, e sicuramente necessaria in un’Europa (ed un’Italia) sempre più multietnica e multiculturale.

Durante l’eucarestia di questa domenica – e questo è il motivo della mia riflessione – mi colpisce la colletta iniziale, che don Giovanni sceglie e nella quale, appunto, si parla di discriminazione: Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; così recita l’inizio della preghiera che riassume in se il senso della liturgia: in essa, difatti, il ruolo principale è del lebbroso risanato, il discriminato per eccellenza, nella bibbia, ma che Gesù non ha timore di accogliere, di toccare e di risanare.

Ripenso all’Unar, e rifletto sul fatto che di questo ufficio – finanziato con i nostri soldi – ne ho sentito parlare solo e soltanto in relazione alle cosiddette “discriminazioni omofobe”, alla famigerata “teoria del gender” ed alla promozione della cosiddetta “strategia nazionale LGBT”. E già: per chi non lo sapesse c’è un Ufficio nazionale che ha predisposto una vera e propria strategia (quasi ci si accingesse ad affrontare una guerra o una controparte in Tribunale) per promuovere le associazioni Lesbo, Gay, Trans e Bisex. Dunque un’azione che combatte discriminazioni legate alla scelta di genere ed alle tendenze sessuali, lotta “di libertà” (!) che tanto infiamma oggi moltissimi ambienti del mondo occidentale.

Da “addetto ai lavori” in materia di leggi mi sorge il desiderio di approfondire, appunto, quel decreto che – in pieno governo “Berlusconi II” – istituì l’Unar. Immediata, mi balza agli occhi un’affermazione chiara e netta dell’art 1, quello che descrive l’Oggetto del decreto: in esso si deve promuovere “’attuazione della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, disponendo le misure necessarie affinché le differenze di razza o di origine etnica non siano causa di discriminazione”. Dunque solo “razza” ed “origine etnica”. Provo a cercare una giustificazione ai motivi per cui ho conosciuto l’Unar e scendo all’art. 2, quello che definisce la “Nozione di discriminazione”, ma la musica non cambia: per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica”.

Ed, ancora, solo ed esclusivamente di razza ed origine etnica si parla allorchè, ai successivi punti a) e b) si descrive la discriminazione diretta e indiretta: ma sempre e solo per motivi legati alla razza o all’origine etnica.

Delle “discriminazioni” legate alle tendenze sessuali, nessuna traccia. Della tutela e promozione delle associazioni LGBT, nessuna traccia. Dunque tutta questa attività – applicando la norma – promossa da un Ufficio Nazionale, con i nostri soldi, è letteralmente “fuorilegge” poiché dalla stessa non prevista.

Ritorno alla Colletta di domenica. Al vangelo. Al lebbroso. Di quali discriminazioni parlava Gesù? Di quali la preghiera che tanto mi ha colpito? Di quelle che nascono dal più grave dei peccati dell’uomo: la mancanza di amore per il proprio fratello. Ed allora i veri discriminati sono i poveri sempre più poveri ignorati dai ricchi, sempre più ricchi per ingordigia ed avidità; i discriminati sono i malati non curati, gli anziani abbandonati, i bambini e le donne maltrattati e non protetti; le prostitute lasciate in balia dei loro aguzzini senza alcuna iniziativa dello Stato (basta la Salaria tra Settebagni e Ponte Salario per rendersene conto); i carcerati non visitati; i disoccupati privati della loro dignità.

Per essi cosa fa lo Stato? Poco, pochissimo. E l’Unar? Nulla. Assolutamente nulla.

Ma, mi si obietterà, l’Unar combatte le discriminazioni razziali! Tra i suoi obiettivi non ci sono le categorie di cui sopra! Dunque perchè dovrebbe far qualcosa? Già, vero: ma perchè allora promuove la “strategia nazionale LGBT”? Coloro i quali si riconoscono in queste tendenze costituiscono forse una “razza” discriminata o sono forse persone perseguitate in base alla loro “origine etnica”? Non mi risulta, anzi: giustamente coloro i quali in esse si riconoscono chiedono una “patente” di normalità, di eguaglianza e non un riconoscimento di “diversità”.

Dunque, la conclusione amarissima a cui giungo è semplice, netta, inequivocabile: si usano soldi pubblici per finanziare e promuovere un’attività sostanzialmente “non legale” (nel senso di non prevista dalla legge) quando tali fondi ben potrebbero essere destinati a chi veramente soffre nella carne le discriminazioni dell’egoismo umano.

«E aggiungeva: “Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”».

Così Marco, qualche giorno fa, stigmatizzava i pervertitori della legge: una Parola che calza a puntino anche in questa vicenda. Il mondo è pieno, oramai, di uomini “abili” ad eludere ciò che Dio ha scritto nel nostro cuore perchè venga osservata la “loro” tradizione, che altro non è che un egoismo terribile camuffato dietro le parole libertà ed uguaglianza (guarda caso parole simbolo della Rivoluzione Francese e dell’Illuminismo).

Uomini che, reputandosi essi stessi dio, in nome di un moderno e laicissimo “korbàn”, si sentono in diritto di “farne le veci” decidendo ciò che è buono, giusto vero – ovvero insegnando che è giusto che ogni singolo individuo abbia il proprio canone di “buon, giusto, vero” – ed annullando in un sol colpo il “comandamento di Dio” in ciò che la natura ci ha donato, ciò che è iscritto nel profondo dei nostri cromosomi e del nostro DNA. In tal modo costoro negano che Dio abbia “…creato l’uomo per l’immortalità”, che lo abbia fatto “a immagine della propria natura”, come dice il libro della Sapienza (2,23). Ma è la stessa Sacra scrittura a dare la motivazione di tale pervertimento, aggiungengo: “Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap. 2,24).