Genitori cinquantenni in formato taxi e bancomat

Nati negli anni ’60, sono quelli che sono cresciuti a omogeneizzati, nutella e uova sbattute. Quelli che hanno trascorso gran parte dei loro pomeriggi da studenti sul campetto della parrocchia, fatto con le porte disegnate sui muri della chiesa. Quelli che si sono costruiti i carioli con i cuscinetti a sfera e che se combinavano un guaio il babbo gli toglieva la ruota della bicicletta. Quelli che a una nota a scuola corrispondeva una punizione a casa.

Sono quelli che alle medie si sono imparati a memoria il “Cinque maggio” di Manzoni e “Davanti a San Guido” di Carducci. Quelli che prima hanno odiato il “pessimista” Leopardi per poi ritrovarsi ad inseguire la felicità come la inseguiva lui. Quelli che alle superiori sono arrivati con grandi ideali, ma, purtroppo per loro, subito dopo la mitica contestazione del ’68 di cui hanno tanto sentito parlare senza averla vissuta.

Sono quelli che hanno visto trasformare le assemblee di istituto in feste di carnevale e cineforum, sull’onda dell’unità nazionale che altro non era che un compromesso storico camuffato. Sono quelli che erano in classe il giorno del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione dei cinque uomini della sua scorta e che hanno attraversato gli anni del terrorismo nero e rosso. Quelli che sui banchi di scuola si sono innamorati, durante le lunghe estati hanno frequentato i campi scuola e per pagarseli sono sempre andati a lavorare.

Sono quelli che all’università ci sono arrivati quando ormai il 18 politico era solo un ricordo e gli esami se li sono sudati tutti. Quando si sono laureati hanno trovato il lavoro in pochi mesi, ma poi si sono presi le mazzate dai colleghi diplomati che ne sapevano mille volte di più, ma che della laurea non sapevano che farsene. A quel tempo contava solo l’esperienza. Anzi, l’esperienza era tutto e se non ti facevi l’esperienza era inutile farsi illusioni. Quelli degli anni ’60 sono quelli a cui tutti hanno consigliato di riscattare gli anni del corso di laurea perché poi sarebbero andati in pensione con la media degli ultimi 5 anni di stipendio.

I loro colleghi di qualche anno prima avevano speso 2-300mila lire, loro, quelli degli anni ’60, hanno speso non meno di 15 milioni di lire! Ma ne valeva la pena. Glielo dicevano tutti, a quelli nati negli anni ’60: quei soldi torneranno moltiplicati. Dopo poco tempo la media divenne quella degli ultimi 10 anni, ma ne valeva ancora la pena: erano stati soldi spesi bene. Sarebbero tornati, negli anni della pensione, moltiplicati.

Sono quelli che alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90 si sono sposati, perché allora, ancora, ci si sposava. Hanno messo su famiglia, si sono  resi le loro responsabilità e se ne sono andati per conto loro. È vero, il babbo e la mamma gli avevano preparato l’appartamento, ma loro sono stati contenti di andarsene da soli. Sono quelli che non sono mai andati all’estero e come prima lingua hanno studiato il francese.

Sono quelli che da ragazzi al massimo hanno fatto le gite di due giorni, nel raggio di 3-400 chilometri di distanza. Fra loro c’era chi andava in parrocchia e chi come parrocchia aveva la discoteca, quella che apriva alle 9 di sera e chiudeva a mezzanotte. Tutti erano amici, fin dai tempi in cui avevano iniziato a scambiarsi le figurine dei calciatori e a giocare per intere giornate a ping pong. Sono quelli che aspettavano ogni giorno, alle 17 puntuali, la tv dei ragazzi con Zorro, Rin Tin Tin e Braccobaldo show, e poi a metà degli anni ’90 si sono trovati con i figli da accudire e da educare. Ma loro sono quelli che avevano il videoregistratore e le videocassette con le fiabe messe in scena nei film della Disney.

Il lavoro cresceva e le responsabilità pure. Intanto crescevano anche i figli. Ne arrivava uno, poi arrivava il secondo. In qualche caso, sempre più raro, arrivava anche il terzo. Ma loro sono sempre gli stessi, ma adesso, nei primi anni ’90, sono quelli che iniziano a girare come trottole. Prima alla materna, poi in piscina, poi alle elementari, a calcio, a judo, a basket, al catechismo, agli scout, a musica, al doposcuola, a danza, a chitarra. Sono quelli che fanno i salti mortali dall’ufficio a casa, dalla piscina alla scuola al campo di calcio al tennis, dal pediatra al dentista perché, scusate, ma chi non mette l’apparecchio oggi al proprio figlio? Per pranzare si fermano nei fast food con i loro ragazzi che amano gli hamburger e non sanno cos’è l’Ovomaltina, oppure a casa mettono in padella una crocchetta surgelata.

Non sanno più se sono genitori o se si sono trasformati in tassisti. Eppure girano. Continuano a girare come forsennati. Non si fermano mai. Sono quelli che poi vanno agli incontri con i nuovi guru di questi strani tempi: ascoltano Crepet, Andreoli, Risè e tanti altri psicoanalisti famosi. Tutti dicono che per essere genitori occorre essere preparati. Loro, sempre quelli degli anni ’60, non i guru, sono quelli che si sentono inadeguati, si mettono in discussione. Vanno alle udienze e i prof si lamentano della che non c’è. Il parroco dice anche lui che la famiglia è assente, non trasmette la fede e non educa. Intanto il tempo passa, i figli crescono, contestano, chiedono indipendenza e la paghetta sempre più ricca.

I genitori trasformati in bancomat sono stretti fra le incombenze quotidiane, la carriera che sfugge, gli anni che avanzano. Qualcuno crolla, anzi crollano sempre in numero maggiore. Molti si separano, divorziano e sperano in un nuovo inizio, invece è l’inizio di una disfatta. Quelli che reggono hanno le rette da pagare, le bollette da saldare e gli stipendi che sembrano non bastare più. Loro sono anche quelli, e parliamo sempre di quelli nati negli anni ’60, che non si spaventano, ma barcollano sotto il peso di una crisi che, dopo gli anni del bengodi, adesso ha cambiato tutto. Hanno i telefonini in casa, tutti, hanno l’ipad e il televisore lcd almeno da 40 pollici. I figli durante l’estate vanno all’estero a studiare l’inglese, lo spagnolo o il cinese. Il francese no di certo, per carità, roba di quelli degli anni ’60.

Loro intanto sono quelli che hanno raggiunto i 50, hanno i capelli grigi, il conto in banca prosciugato e la pensione che si allontana. Adesso devono pensare a come pagare l’Imu, a come arrivare alla fine del mese, a come arginare le spese di famiglia divenute ormai ingovernabili.

Su questa famiglia di oggi, non solo su questi nati negli anni ’60, ovviamente, ma anche su tutti gli altri, si abbatte la scure di interventi fino a pochi mesi fa impensabili. A questa famiglia tutti domandano conto, tutti chiedono sacrifici. Loro sono sempre quelli che si immolano nel silenzio, che lavorano non pensando di essere un peso, che tirano avanti la baracca di questo Paese. Loro sono quelli che hanno i figli all’università o ancora a spasso. Sono quelli che hanno in famiglia la più grande e generosa cassa integrazione a zero ore, per 365 giorni all’anno, per i figli superlaureati e dotati di master che nessuno vuole se non per uno stage gratuito.

Nessuno vuole assumere i figli, anzi tutti manderebbero via i padri, perché tanto oggi l’esperienza non conta più nulla. È solo un costo. Meglio che questi “esperti” si prepensionino. Se poi diventano tutti esodati, chi se ne importa? Eppure a loro, quelli nati negli anni ’60, tutti dicono che non sanno essere genitori. Ed è anche vero: sono adulti rimasti adolescenti, in molti casi, ma in tanti altri sono veri e propri muli che portano carichi ormai insostenibili.

Loro sono quelli che tengono in piedi la nostra famiglia, quell’unica famiglia stabilita dalla costituzione. La tengono in piedi a costo di sacrifici e di rinunce. A questa famiglia così sgangherata, lontanissima da quella delle due precedenti generazioni, bisogna dare un aiuto concreto. Loro, d’altronde, quelli nati negli anni ’60, hanno avuto il boom economico, sono nati col frigorifero, il televisore, Mike Bongiorno e il maestro Alberto Manzi che insegnava a tutti che “Non è mai troppo tardi”. Sono nati privilegiati. Hanno messo su famiglia e adesso che vogliono?

A questa famiglia non si può solo chiedere, occorre anche dare, anche se mamme e papà sono nati con la camicia. Non è colpa loro, in fondo. A questa famiglia occorre riconoscere un enorme valore sociale che va a beneficio di tutti, di chi ha figli e di chi figli non ne ha. A questa famiglia coraggiosa occorre dare sgravi fiscali di notevole peso. Occorre che venga offerta la possibilità di scaricare tutte le fatture, del dentista, dell’idraulico, del falegname. Questa famiglia è d’accordo con la lotta all’evasione, ma non riesce a pagare il 21 per cento in più solo per una questione morale e perché «se tutti pagano le tasse tutti pagano meno».

Sì, l’etica è una bella cosa, ma la realtà quotidiana è durissima da vivere. A questa famiglia bisogna fare recuperare le rette delle scuole paritarie che restano sempre e solo una bella e costosa ricevuta da cestinare. Troppo poco per chi paga due volte per l’istruzione e l’educazione delle nuove generazioni.

A questa famiglia a cui è stata tolta la pensione (restano un pallido ricordo i milioni espressi in lire per il riscatto della laurea) oggi arriva una beffa dietro l’altra. Questa famiglia a cui tutti dicono di essere più essenziale non ce la fa più. Cosa è essenziale oggi? Un pc è essenziale? Un portatile i figli lo possono avere? La wireless in casa è un lusso se la scuola invia i compiti via email e il libretto dell’università è solo elettronico?

Tornare a ciò che conta. Torniamo alla famiglia in quanto tale. A quella a cui danno inizio un marito e una moglie. Diamole valore sul serio, con gesti concreti. Se proprio non vogliamo realizzare le riforme che forse oggi non ci si può permettere, facciamole almeno un monumento. Facciamo un monumento alla famiglia. Credo sia del tutto meritato.

Fuori di storiella. Non so se un monumento arriverà alla famiglia di oggi. Non credo. Siamo in presenza di un vento antifamiglia che la vede sempre più relegata, e da tempo, in un angolo. La famiglia viene considerata una questione cattolica. Non se ne comprende il motivo, ma questo è il vento che si respira. Emblematico resta il caso proposto dal film “Casomai”.

«Lei signora è sposata?». «Certo che sono sposata. Felicemente sposata», risponde la protagonista che domanda un aiuto economico. «Peccato», risponde il funzionario. «Se lei era separata o divorziata o ragazza madre, avrebbe avuto più aiuti». Questa è la realtà con la quale ci dobbiamo confrontare.

I figli non sono una questione privata, ma una ricchezza per tutti. Francia e Germania hanno adottato da tempo poderose politiche demografiche che hanno portato favorito nuove nascite. Siamo un Paese vecchio interessato a mantenere i privilegi raggiunti e avanti di questo passo non so dove andremo a finire.

Per parte nostra, nostra dei giornali diocesani, come da oltre un secolo, come nel caso dell’«Azione», facciamo, continueremo a raccontare le storie, le esperienze, le fatiche le gioie e i dolori dei mille territori e delle famiglie che fanno ricco questo Paese. È la voce della provincia italiana, quella che non fa mai notizia, ma alla quale noi vogliamo dare spazio come è nella nostra storia, nel nostro dna da sempre e come lo sarà anche in futuro.

One thought on “Genitori cinquantenni in formato taxi e bancomat”

  1. mirella

    Leggendo l’articolo ho ripercorso la mia vita.Sono nata nel 1966 e mi ritrovo pienamente nella descrizione fatta eccetto per il fatto che non siamo stati capaci di dare un’educazione ai nostri figli. Ne ho due che hanno rispettivamente 16 e 9 anni e vi posso assicurare che ho trovato molta piu’ arroganza nei genitori dei coetanei della bambina piu’ piccola che non in quelli che piu’ o meno hanno la mia stessa eta’ e che hanno i figli che frequentano la scuola del maggiore. Certo è che la maleducazione non ha eta’, ma la generazione successiva alla nostra (per intenderci i nati negli anni ’70-’80) e’certamente piu’ presuntuosa poiche’ fa parte di coloro che, nella quasi totalita’, hanno frequentato un’universita’ e che quindi si sentono superiori e “moderni” non considerando che l’educazione e il rispetto fanno parte della nostra vita dalla notte dei tempi. Un saluto Mirella

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