Musica

Francesco De Gregori e l’arte della narrazione

Le storie buone non sono solo quelle in cui alla fine il bene trionfa sul male, ma anche quelle che favoriscono il riconoscimento tra le persone e la condivisione di una stessa condizione umana: a sostenerlo è Francesco De Gregori in una intervista all'Osservatore Romano

Qualche settimana fa, il 24 gennaio, il Papa ha pubblicato il Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali e ha parlato della necessità della narrazione, che ci sia chi abbia la capacità e il coraggio di raccontare storie buone, perché altrimenti prevarrebbe lo smarrimento, il disorientamento, la resa al dominio della chiacchiera e delle narrazioni false e negative, manipolative e scoraggianti. Francesco De Gregori, uno dei massimi “narratori” della canzone italiana, è rimasto molto colpito dalle parole di Francesco. L’Osservatore Romano pubblica una lunga intervista all’artista di cui vi proponiamo di seguito un ampio estratto. La prima domanda nasce da un ricordo: era il 1983 quando De Gregori cantava di una ragazza e di una miniera, del cuore umano, “un cespuglio di spine”, e del fatto che: “Meno male che c’è sempre uno che canta / E la tristezza ce la fa passare / Se no la nostra vita sarebbe / Come una barchetta in mezzo al mare”…

“In realtà, se ripenso a quella canzone, La ragazza e la miniera, io non lo so se veramente la tristezza possa passare grazie a uno che canta. Forse no, forse non sempre, forse dipende da qual è la canzone… Io non credo molto nelle canzoni “ edificanti” nel senso banale del termine, come non ho mai creduto nelle canzoni ‘impegnate’. Non è detto che, perché una narrazione sia ‘buona’, il bene debba necessariamente trionfare sul male, non sempre il lieto fine è obbligatorio, plausibile o sopportabile”.

Infatti, nello stesso Messaggio il Papa ha precisato che “storie buone” non vuol dire prive del racconto del male, tutt’altro, ma che «Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio.»

“Ecco, infatti. Penso ad un film come Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick che nel finale vede trionfare l’ingiustizia e la ferocia ma che, proprio nella canzone di una prigioniera tedesca schernita e costretta ad esibirsi davanti ai soldati francesi vincitori, trova nelle ultime inquadrature un riscatto della pietà e un reciproco riconoscimento del dolore comune. Quindi forse sì, una canzone può far bene, in un testo ci si può ritrovare e si possono ritrovare gli altri, che siano eroi oppure gente sconfitta. Del resto aver letto o visto o ascoltato le stesse cose aiuta gli uomini a riconoscersi, crea un’intesa, un linguaggio condiviso in partenza. Se io ti cito Kubrick, e tu sai chi è, è come se in quel breve attimo ci stessimo rivedendo insieme tutti i suoi film. Quanto tempo risparmiato per conoscerci, per sapere l’uno dell’altro, per poterci raccontare altre cose! E che imbarazzo al contrario se mi capita di dare per scontato che il mio interlocutore abbia visto 8 e 1/2 di Fellini e mi accorgo che non è così (ovviamente può succedere anche il contrario!)”.

C’è un altro motivo per cui De Gregori è rimasto molto colpito dal messaggio del Papa, un po’ personale, legato al suo lavoro di cantautore:

“La prima cosa che mi ha colpito nella riflessione del Papa è una cosa piccola piccola che in qualche modo mi riguarda personalmente: il fatto che egli non abbia nessun problema a mettere accanto alla letteratura e al cinema anche le canzoni. Questo non è affatto scontato. E’ difficile che le canzoni sono considerate cultura, raramente ciò che “raccontano” le canzoni viene invitato alla stessa tavola delle arti cosiddette ‘maggiori’. D’altra parte la Chiesa è stata spesso anticipatrice di atteggiamenti e di aperture analoghe. Pochi giorni fa ho visitato i Musei Vaticani e lungo il corridoio dei candelabri, ho ammirato sul soffitto un bellissimo affresco della fine dell’800 dedicato alle arti e fra queste è compresa, seppure collocata ai piedi delle consorelle, anche la fotografia, incredibile! ben prima che questa venisse riconosciuta come un’espressione artistica e narrativa autonoma. Nell’affresco una primitiva macchina fotografica, una semplice cassetta con un rudimentale obiettivo, sicuramente una delle prime mai sperimentate, è raffigurata accanto ad un telaio. L’arte della narrazione accanto a quella della tessitura quindi. Ambedue raccontano. Un unico ‘testo’, come dice il Papa, avvolge l’uomo e coinvolge l’umanità”.

Dei tre requisiti che Papa Francesco indica come proprietà fondamentali delle storie di cui ha bisogno l’umanità, il vero, il bello, il buono, è il primo quello che più colpisce il cantautore romano:

“Sì, il Papa parla di racconti belli, racconti veri e buoni, forse è un modo di dire che debbano non solo essere belli esteticamente ma avere a che fare direttamente, concretamente, con la vita, essere capaci di trasformarla. Il punto è che la vita, e questi tre aspetti fondamentali di essa, sono un po’ come il poligono e il mal di denti di cui parla Borges (ho trovato questo splendido esempio proprio leggendo L’Osservatore Romano): solo il primo è chiaramente definibile, mentre il bello, il vero e il buono sono tre concetti difficili da definire, somigliano piuttosto al mal di denti di cui tutti abbiamo esperienza ma che sfugge ad una descrizione precisa. Mi sembra però che nel “vero” possano rientrare anche gli altri due, senza troppe forzature. Per chi produce racconti, per chi tesse la trama sia del reale che dell’immaginario, per chi se ne lascia vestire ascoltando, leggendo, abitando una grande casa comune. È la verità che informa il lavoro dell’artista, se l’artista è un artista onesto (non necessariamente un ‘grande artista’)”.

Da Vatican News