Foibe, Petrangeli: imparare dalla storia

Foibe, Petrangeli: trarre insegnamento dalla storia per contrastare ogni forma di nazionalismo e revanscismo

«Il crollo dell’Italia fascista nel settembre del ‘43 e quello del Terzo Reich nel maggio del ‘45 ebbero nella Venezia Giulia contraccolpi ben diversi dal resto del Paese. In questa regione mistilingue, oggetto di contesa dal 1848 da parte delle etnie conviventi, si verificò un drammatico capovolgimento dei ruoli: i padroni di lingua italiana, che dopo l’8 settembre avevano collaborato con i tedeschi, si trovarono fra i vinti. Gli S’ciavi, come erano detti con spregio gli sloveni e i croati, erano i vincitori. In questa situazione, colma di tensioni etniche, sociali e ideologiche, si scatenò una violenta resa dei conti con deportazioni ed esecuzioni sommarie di nemici, veri o presunti, molto sbrigativamente sepolti nelle voragini carsiche dette Foibe. Una vicenda scabrosa, legata a un fatto storico a lungo strumentalizzato dalla politica, sia di destra sia di sinistra, che è bene non dimenticare per comprendere a fondo a quali conseguenze drammatiche può portare il nazionalismo. In un’epoca nella quale è necessario coltivare, soprattutto tra le giovani generazioni, lo spirito europeo bisogna trarre insegnamento dalla storia per contrastare ogni forma di nazionalismo e revanscismo».

È quanto dichiara il Sindaco di Rieti, Simone Petrangeli.

One thought on “Foibe, Petrangeli: imparare dalla storia”

  1. Edoardo Passarani Desantis

    Se queste parole sono uscite dalla mente di Petrangeli:
    In questa situazione, colma di tensioni etniche, sociali e ideologiche, si scatenò una violenta resa dei conti con deportazioni ed esecuzioni sommarie di nemici, veri o presunti, molto sbrigativamente sepolti nelle voragini carsiche dette Foibe.

    Credo che il signor Petrangeli oltre che dotato di scarne nozioni scolastiche sia, anche per colpa di un programma scolastico estremamente lacunoso e fazioso sulla storia recente, prima di proferire sbrigative affermazioni debba perlomeno fare anche solo una piccola ricerca su internet. Proprio per non dedicare troppo tempo a “castronerie storiche”, bastava andare su Wikipedia e aggiornare le sue cognizioni, molto figlie del retaggio postbellico dei vincitori e colorate di rosso sovietico.
    Da ricercatore storico, anche se solo dilettante, c’è da dire che gli italiani con i popoli slavi occupati durante l’ultima guerra, hanno perso l’aureola che li dipingeva “Italiani brava gente”.

    In questo senso la “Circolare 3 C” emanata il 1º marzo 1942 dal generale Mario Roatta, un memorandum che inasprisce la lotta controguerriglia modificando l’atteggiamento italiano da difensivo ad aggressivo e al quale si sono attenuti i diversi comandi, è un documento ufficiale e una inoppugnabile prova contro il Regio Esercito (vi si afferma tra l’altro che eccessi di reazione non verranno tendenzialmente puniti).

    Nello scenario jugoslavo la lotta si inasprì in quanto venne combattuta una guerra dove il tentativo di pulizia etnica operato dagli italiani (vedasi Del Boca in particolare con riferimento alla provincia di Lubiana), si intrecciava con la guerra di liberazione contro l’occupante, e una vera e propria guerra civile tra le varie etnie slave e le varie ideologie in esse presenti (tra le quali prevalse quella comunista delle formazioni di Tito).

    In nove mesi, da fine aprile 1942 a fine gennaio 1943, nella sola città di Lubiana, oltre ai »regolarmente processati« , furono liquidati senza processo 21 gruppi di ostaggi per un assieme di 145 uomini (di cui 121 fucilati presso la cava abbandonata »Gramozna jama« presso Lubiana). Furono assassinati col solo proposito di intimidire la popolazione, senza processo formale, senza prove di colpevolezza, vittime innocenti, arrestate dalle pattuglie militari nelle vie cittadine e passate per le armi con la pretestuosa motivazione che trattavasi »sicuramente di attivisti comunisti, e quindi coinvolti in azioni di sabotaggio, di cui nel termine prescritto di 48 ore non erano stati individuati i colpevoli«. Gli ostaggi venivano scelti sia tra i detenuti delle carceri militari, sia tra individui in capo ai quali il Tribunale Militare non era riuscito a scoprire alcun indizio di accusa.

    In un vertice tenuto a Fiume il 23 maggio 1942, Roatta annuncia l’appoggio di Mussolini alla linea dura dei generali:
    « Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e di applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario… Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente – anche 20-30.000 persone. »
    (Roatta)

    A partire dal luglio 1942 le divisioni italiane, con grandi operazioni di rastrellamento alla caccia delle formazioni partigiane, svuotano il territorio in cui queste sono più presenti, deportando la popolazione dei villaggi in campi di concentramento costituiti appositamente. Si tratta soprattutto di donne, bambini ed anziani, poiché gli “uomini validi” fuggono nei boschi alla vista dei reparti italiani, per evitare di essere presi come ostaggi e fucilati nelle quotidiane rappresaglie decretate dai tribunali militari di guerra.

    Ma dai documenti degli stessi generali italiani emerge anche la determinazione per cui le rappresaglie contro i civili devono essere un’arma di pressione contro i partigiani del Fronte di Liberazione, che tengono in scacco una grossa parte dell’esercito italiano.

    Tra l’estate del 1942 e quella del 1943 furono attivi sette campi di concentramento per civili sotto il controllo della II Armata (che aveva la competenza su Slovenia e Dalmazia). Stabilire oggi il numero dei deportati risulta assai difficile, sia per la frammentarietà degli archivi consultabili, sia perché le stesse autorità italiane scrivevano di non avere un quadro delle situazione. Secondo alcune stime si conterebbero almeno 20.000 civili sloveni internati. Mentre un documento del Ministero degli interni italiano, databile alla fine dell’agosto 1942, indica un complesso di cinquantamila elementi circa, sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle operazioni di polizia in corso, di cui la metà donne e bambini.

    Quindi se il signor Petrangeli intendeva con: “molto sbrigativamente sepolti nelle voragini carsiche dette Foibe”, intendeva negare che gli infoibati erano gettati vivi nelle cavità, a parte il primo della fila a cui si sparara e che per effetto della sua caduta trascinava gli atri sventurati legati con filo di ferro uno dietro l’altro, è una “castroneria” e un retaggio di storia di parte, falsa, faziosa e ignorante. Se intendeva dire che le vittime siano state precedentemente processate per crimini di guerra, è ancora più grave se non delittuoso. Petrangeli vai a scuola!

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