Necessarie aliquote fiscali “umane” e punizioni per i furbi
Più il fisco torchia gli italiani, più gli italiani sfuggono al torchio con tutti i mezzi possibili, leciti e non. È una situazione che va avanti da decenni, ma si continua così senza colpo ferire. Non va, ma non si modifica.
Non va, perché un fisco che spreme tra il 43 e il 50% dei redditi (dipende da chi fa le statistiche) è chiaramente un invito a nozze ad eludere l’invito di dare a Cesare ciò che gli spetta. Il socio occulto di ogni lavoratore dipendente o pensionato, di ogni professionista, di ogni imprenditore è lo Stato italiano con le sue articolazioni territoriali. Si prende quasi la metà di quanto raggranelliamo in un anno, per far funzionare una macchina sull’efficacia della quale, appunto, ogni italiano nutre seri dubbi.
Ma è chiaro che l’elusione e l’evasione fiscale, in un simile panorama, sono assai convenienti. Tra l’altro, non si finisce certo in prigione (come negli Usa, ad esempio) se si riesce ad aggirare il fisco italiano. Quindi…
Quindi tocca poi vedere che il reddito medio degli italiani – il pollo di Trilussa, s’intende – è di 20mila euro lordi all’anno. Pochi? Tanti? Beh, tanti no e sicuramente meno di quelli realmente incassati, se si guarda alle consistenze patrimoniali, insomma ai conti in banca. A guadagnare di più, secondo le stime ministeriali, sono i lavoratori autonomi: una media di poco oltre i 35mila euro annui. I dipendenti denunciano 20.600 euro; i pensionati 16.300, qualche euro in meno delle partite Iva a regime semplificato (16.550).
Gli imprenditori – poveretti – si accontentano di 28.800 euro all’anno, poco più di 2mila lordi al mese, diciamo 1.200 euro netti. È sempre una media, c’è chi ha lavorato in perdita e chi ha certamente guadagnato. Senza fare commenti, diciamo che – stando ai dati fiscali – fare l’imprenditore è ormai cosa da poveracci: meglio un bel posto fisso da bidello.
La realtà è un po’ diversa, la scure del fisco s’è già abbattuta pesantemente sui ricavi aziendali e poi ci sono mille modi leciti per abbassare l’imponibile fiscale per chi fa impresa. Cosa che è impossibile per dipendenti e pensionati, casomai imputabili di un dopolavorismo in “nero” che anch’esso evita accuratamente la dichiarazione dei redditi. Il non dichiarato è, per definizione, oscuro, quindi difficilmente quantificabile: ma tutte le analisi lo posizionano quanto meno ad un terzo del dichiarato: una somma che, se tornasse nella legalità, permetterebbe all’Italia un orizzonte più finlandese che greco.
Ma l’onesta si aiuta togliendo il più possibile le occasioni che fanno l’uomo ladro. Aliquote fiscali “umane” – accompagnate però da punizioni pesanti e reali per gli scorretti – ridurrebbero di molto il perimetro di furbizia dentro la quali si muovono troppi italiani. Il fatto che ciò non accada è semplicemente imputabile ad una duplice “esigenza”: pure gli evasori votano, e in democrazia questo è un dato che conta; lo Stato dovrebbe cambiare pelle per accontentarsi di molto meno e lasciare più spazio e risorse alla società. E questo è un discorso politico.
p.s.: se le addizionali irpef locali (regionali e comunali) sono indice di cattiva amministrazione – più alte sono… – allora i cittadini laziali, e quelli romani in particolare, sono i più sfortunati d’Italia.