Europa, un atto di volontà

”Études” gennaio 2013: una riflessione di Pierre de Charentenay.

“L’Europa è frutto di un atto di volontà e di una decisione, un’opera della fiducia nella capacità dell’uomo di cercare di costruire la pace. Nessuno è mai stato costretto a parteciparvi. È stata costruita con la pazienza e il coraggio di tanti, fino ai nostri giorni. Eppure l’Europa sembra lontana”. Così apre il suo ultimo editoriale Pierre de Charentenay, direttore della rivista “Études” dal 2004 al 2012. Dal 1° gennaio 2013 il direttore della rivista dei gesuiti francesi è François Euvé.

I fondamenti dell’euro.

“Questa crisi europea senza precedenti manifesta la fragilità della costruzione della moneta unica”: secondo il gesuita francese, “la moneta unica sarebbe dovuta essere la conseguenza di una armonizzazione molto più ampia tra i sistemi bancario, finanziario, industriale ed economico in generale”, mentre invece, le differenti politiche fiscali o sociali, le diverse dinamiche economiche tra i singoli Paesi creano un disequilibrio. Se si può anche sostenere che “non si poteva attendere una armonizzazione generale dei sistemi economici e finanziari nazionali” per introdurre l’euro, resta la domanda sulla natura dell’attuale crisi finanziaria.

Una crisi multiforme.

“Non si mette in dubbio l’esistenza della Francia né della Germania, ma si mette in dubbio quella dell’Europa, che a nessuno pare essere un’entità naturale. L’Europa è un’idea nata in un contesto particolare e la crisi pesa sui principi della sua costruzione. I dubbi più seri gravano sul principio di solidarietà che si suppone essere uno dei fondamenti”. Eppure il principio a volte viene sacrificato, come ad esempio quando si è accettata l’entrata nell’Ue della Grecia, che pure non rispettava tutte le regole impose dall’Ue stessa: “i membri dell’Unione avrebbero dovuto assumersi le loro responsabilità, esigendo il rispetto delle regole fissate per tutti. La solidarietà può essere molto esigente”. Si è data invece la priorità a motivazioni simboliche per giustificare questo accesso. La crisi della solidarietà ha avuto anche altre manifestazioni: “una difesa gelosa della sovranità nazionale; la paura delle reazioni locali ha preso il sopravvento sulla ricerca del senso di una comunità.” Ciò ha portato a tollerare situazioni come la Grecia, che sembra vivere “in un sistema di relazioni familiari medievali”; la Spagna con la sua politica immobiliare; l’Italia “che non riesce a stroncare le azioni della mafia”; la Francia “che non ha saputo arginare il suo deficit per motivi di politica interna”.

Perdita del sostegno popolare.

C’è anche una “crisi di fiducia dei popoli nell’Unione”: “molti europei non riconoscono più l’interesse della dinamica europea; i cittadini hanno paura di perdere la loro identità, autonomia, capacità di decisione. La fiducia nelle istituzioni europee è limitata perché sono spesso identificate con i processi di mondializzazione, il liberalismo senza limiti del mercato, i tassi elevati di disoccupazione”. Due le cause di questa erosione della fiducia: “la preoccupazione per il vivere insieme si è allontanata a vantaggio di un’attenzione su se stessi, alla propria sicurezza, salute, benessere”. In secondo luogo “manca una pedagogia dei governi rispetto all’UE”: i governi temono che spiegando più chiaramente l’efficacia della dinamica europea, “si mostri di aver perso potere a vantaggio di un esercizio comunitario della decisione”.

Un’occasione per approfondire i legami.

La crisi dovrebbe essere un’occasione “per approfondire i legami tra i Paesi dell’Ue e costruire le fondamenta che mancano all’euro”: “il futuro non sta certo nella scomparsa dell’euro, ma in un federalismo più ampio, in un’armonizzazione delle basi dell’euro, cominciando da un’unione bancaria europea e una mutualizzazione dei debiti nazionali”, come deciso dal consiglio europeo dello scorso giugno. “L’Europa dipende dall’adesione dei membri ai suoi principi. Non c’è un potere esterno che obbliga”.

Articolare solidarietà e sussidiarietà.

“La sussidiarietà, secondo grande pilastro, non è compresa dalla gente”, che pensa che l’Ue si intrometta in tutti i settori e non sa che ci sono ambiti che restano di competenza nazionale, in autonomia. Per contro, “là dove il livello comunitario offre una soluzione migliore a una sfida politica e se i l bene comune europeo esige una risposta unica, la competenza dell’Unione è giustificata, per rispondere a una corretta applicazione del principio di solidarietà”.

Un potere politico debole, una democrazia che si modifica.

La questione è “la debolezza del potere politico dell’Ue” che “impedisce di trovare una soluzione e un discorso comuni che permettano ai diversi popoli di comprendere la necessità di una più vasta dinamica comunitaria. Uno degli elementi di debolezza sta nella complessità delle istituzioni e del sistema europeo e “nella grande distanza tra la base e il vertice (Parlamento) per cui si è arrivati a parlare di assenza della democrazia in Europa”. Per altro verso “la democrazia si è trasformata: i cittadini vogliono essere consultati direttamente, non hanno fiducia nei rappresentati parlamentari e preferiscono le consultazioni dirette”. Ciò implica un dibattito politico aperto e trasparente che arriva ad essere discussione nella stampa. “Questo combatterebbe l’euroscetticismo, che ha preso casa nell’ignoranza in cui vivono i cittadini”.