Enigma pensioni: flessibilità in uscita per creare un ”ponte” ai futuri pensionati

Pier Paolo Baretta (Pd), sottosegretario al ministero dell’Economia: ”Come già ora la riforma prevede che se si rimane al lavoro tra i 66 e i 70 anni c’è una valorizzazione della pensione, così si potrà consentire di uscire prima con una penalizzazione proporzionata. Sarebbe una libera scelta”. Esclusa la ”riforma” della riforma Fornero. La ‘troika’? ”Potrebbe arrivare per il debito pubblico”.

C’è sconcerto nell’opinione pubblica per provvedimenti annunciati e poi ritirati dal Governo Renzi, quali il prepensionamento di 4mila insegnanti oppure il limite a 68 anni per docenti universitari e primari anch’esso ritirato, insieme a deroghe varie. Per capire le questioni sul tappeto il Sir ha intervistato l’onorevole Pier Paolo Baretta (Pd), sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze.

Tutti si domandano: cosa sta succedendo circa le pensioni in Italia?

“Si stanno accumulando questioni ancora irrisolte e che hanno a che fare con l’andamento economico e delle riforme che vogliamo realizzare, come nel caso della pubblica amministrazione, e di questioni sociali come quelle riguardanti gli ‘esodati’ e più recentemente della ‘quota 96’. Ci sono poi situazioni legate al fatto che lo spostamento in avanti così rilevante dell’età del pensionamento, fatto oltretutto di colpo, ha provocato squilibri che devono essere assorbiti”.

Non è che avremo presto una “riforma” della riforma Fornero?

“No. La riforma Fornero è stata dettata da due aspetti concomitanti. Il primo riguardava l’aumento rilevante dell’attesa di vita, che per fortuna vede l’Italia come uno dei paesi tra i primi al mondo per longevità. È certamente una bella notizia che da noi si viva tutti più a lungo, ma questo comporta conseguenze per la gestione delle questioni sociali relative e anche in termini di costi. Dall’altro lato, c’era la questione di conti pubblici che, per quanto riguarda l’onere pensionistico, con la riforma Fornero possiamo dire che sono sotto controllo. Il problema non è perciò quello di ‘riformare la riforma’, quanto invece di trovare una soluzione che consenta a queste situazioni di emergenza, che man mano emergeranno, di essere risolte in maniera strutturale”.

Ma c’è un limite nella riforma Fornero?

“Il suo limite è che, nella sua attuazione rapida, è venuto a mancare un ‘ponte’. Essa a mio avviso è complessivamente valida, ma essendo stata introdotta di colpo, senza saldare la nuova situazione con quella in essere, ha fatto precipitare nel fossato alcune situazioni, ormai note a tutti. Il nostro problema consiste quindi nel costruire questo ponte”.

L’attenzione sembra concentrata in particolare sui dipendenti statali. Che succederà loro: un esodo forzato a 62 anni, il blocco del turn-over, che altro?

“Nell’ipotesi che io sostengo, che prevede la flessibilità in uscita, non ci dovrebbero essere distinzioni tra dipendenti pubblici e privati. Si dovrebbe arrivare a consentire soluzioni differenziate di uscita pensionistica, indipendentemente che si sia appunto lavoratori di imprese privati o statali. Quindi senza nessuna forzatura né in un senso, né nell’altro, ma puntando su una soluzione volontaria e facoltativa. Ovviamente, tutto questo indipendentemente da eventuali altri problemi di organico, come il blocco del turn-over, che non riguarda immediatamente la questione delle pensioni”.

Perché rimane un regime pensionistico diverso per alcune categoria quali i docenti universitari, i primari, i magistrati?

“Perché si eredita un sistema che da tempo è stato strutturato in questo modo. Da parte nostra, stiamo cercando di renderlo il più possibile coerente con un quadro generale, ma non ci nascondiamo che vengono sollevate molte resistenze. In parte esse appaiono giustificate, come nel caso della sottolineatura di non disperdere esperienze specifiche anche complesse. Ma complessivamente a mio avviso la gran parte di tali resistenze sono ingiustificate: bisognerebbe consentire un ricambio anche in categorie così importanti. Non vedo ragioni particolari per cui ci debba essere un regime così diverso”.

Non pensa che sia destabilizzante per le persone trovarsi da diversi anni a non sapere esattamente quando potranno andare in pensione?

“Sì, certamente sarebbe destabilizzante. Però in questo momento non è così. Noi sappiamo, dopo la riforma Fornero, che andremo tutti in pensione a 66 anni e che per tutti verrà adottato il sistema contributivo pro-rata. C’è quindi un quadro di certezza. Da parte mia sto proponendo un ulteriore passo avanti, consistente come ho già detto nella flessibilità in uscita. L’idea è che come già ora la riforma prevede che se si rimane al lavoro tra i 66 e i 70 anni c’è una valorizzazione della pensione, così si potrà consentire di uscire prima con una penalizzazione proporzionata. Sarebbe una libera scelta, sapendo da subito a cosa si va incontro”.

Sarà anche a causa delle pensioni che rischiamo l’arrivo in Italia della “troika” a metterci sotto tutela economica e finanziaria, come è successo alla Grecia?

“Le pensioni hanno un peso rilevantissimo, ma come ho già detto la parte di peso negativo che avevano è stata superata. La ‘troika’ potrebbe arrivare per il debito pubblico e la soluzione cui il governo sta pensando è di superare le attuali difficoltà rilanciando la crescita. Solo con la ripresa economica il peso del debito potrà diventare sostenibile”.