Editoria: ritorno a Rieti. Dialogo con Michela Morelli

Quattro reatine si sono messe in testa di dare vita ad un progetto ambizioso: quello di dare vita ad una casa editrice. Così è nata la “Funambolo Edizioni” ideata e realizzata da Saveria Fagiolo, Antonella Granati, Erika e Michela Morelli

«Bene o male dieci anni in totale li ho passati fuori e molte cose a Rieti non le ho vissute. A parlare della città a volte mi sento inadeguata…» ci dice quasi scusandosi Michela Morelli, una delle protagoniste della casa editrice “Funambolo”.

Però hai il vantaggio di potere raccontare la città anche da fuori…

Sì, beh, tornare per certi versi è stato difficile. Poi ti adatti alla situazione che trovi. D’altra parte se ho voluto cercare di aprire una casa editrice, che a Rieti è una realtà che non esisteva – o se esisteva proponeva determinati libri e non altri – è stato perché mi mancava una realtà in cui potevo inserirmi. Tornavo a casa e mi dicevo: che faccio?

Editrice per noia!

Beh no, ovviamente no! Forse perché sono una sognatrice e quindi mi sono detta «ci provo». Poi ho incontrato altre ragazze che mi hanno seguito e hanno deciso di buttarsi insieme a me e questa è stata una gran fortuna. Sicuramente quello che ho trovato a Rieti in queste ragazze non l’avevo trovato a Torino. Questa passione, questa voglia di fare, di rinnovarsi, di mettersi in gioco… d’altra parte questo non vuol dire che il confronto con Torino per Rieti non sia pesante.

Ovviamente il Funambolo non è l’Einaudi degli anni ‘50…

Ovviamente no. Funambolo si adatta ai tempi di oggi e soprattutto alla realtà in cui nasce. Se fossimo nate a Torino negli anni ‘50 avremmo naturalmente avuto altro materiale su cui lavorare, altri gesti, altri modi di fare editoria. Noi un pochino nel nostro piccolo ci proviamo. Ci incontriamo, discutiamo, parliamo, analizziamo i testi, cerchiamo di capire i personaggi, che valore ha la storia, se può vendere o non può vendere…

L’idea è non sembra quella dell’editorie “locale”, ma di un’impresa a 360 gradi. Un’impresa che sta a Rieti, ma poteva nascere a Palermo come a Trento…

Sì. Tra l’altro a Trento c’è una editrice (Keller di Rovereto, ndr.) diventata improvvisamente importante perché pubblicava traduzioni una scrittrice, Herta Mueller, che poi è diventata premio Nobel. Era una realtà minuscola, la casa editrice era nella mansarda di casa dell’editore. Ma ha dovuto immediatamente ristampare e distribuire i libri per fare in modo che fossero disponibili in tutte le librerie. Dunque mai dire mai. Anche se chiaramente si inizia con tutta l’umiltà possibile, ma senza rinunciare a fare libri che riteniamo possano avere un valore, anche sociale. E anche per la città: la prima collana con cui siamo partiti è quella sul territorio reatino. Poi vediamo…

Bisogna però dire che a Rieti si sono sempre fatti libri, magari più o meno sostenuti dal settore pubblico o bancario. Almeno quelli di tipo storico, anche se a volte hanno un profilo discutibile o scambiano qualche trascurabile aneddoto con la pretesa di aver reso uno spaccato sociale. L’idea dell’editrice Funambolo sembra quella di fare editoria “anche” a Rieti, e “anche” su Rieti. In che modo? Che contributo diverso può dare il libro alla città?

Beh, il contributo che un libro può dare alla città penso che possiamo scoprirlo solo dopo aver fatto il libro. Quello che noi vogliamo fare è essere un mezzo attraverso il quale le persone possono dire la loro. Poi è chiaro che non tutti avranno da dire cose interessanti. Ci sarà una selezione. Ma attraverso queste voci è possibile iniziare a costruire un’identità cittadina. In parte ovviamente, e non è detto che ci riusciamo. Sicuramente è il nostro interesse e la nostra passione. D’altra parte ci interessa anche non rimanere confinati dentro il territorio reatino. Ci piacerebbe trattare anche argomenti che vadano al di là, che possano interessare il reatino come il milanese. Per questo abbiamo deciso di dedicarci ad una collana di arti di strada. Ci sembra una forma di cultura che ancora non è stata compresa in Italia e a Rieti a maggior ragione. E dire che qui c’è un gruppo di ragazze bravissime che insegnano arti circensi.

Vuol dire che qualcosa incomincia a muoversi…

Quello che vedo io a Rieti è che c’è cultura, ci sono tantissime belle cose. Ma è una determinata cultura. Più legata al folclore, alla tradizione. Ci sono tantissime sagre, seguitissime, e la festa patronale è sentitissima. Sono cose bellissime, che ci legano alla tradizione e al nostro passato. Però non dobbiamo fermarci: dobbiamo trovare nuove forme di espressione che possono portare nuove cose, nuovi stimoli ai ragazzi. La resistenza che deve un po’ superare la città è questa: ciò che è già riconosciuto come cultura è buono, ciò che è meno conosciuto non è buono. Non si fa il passaggio del: «lo vado a conoscere, vediamo se mi piace o non mi piace, se lo ritengo valido oppure no». Un po’ in tutte le cose la città di Rieti è così: di fronte allo sconosciuto la prima reazione è «non mi avvicino, lo metto da parte, è roba cattiva». Quello che è stato già riconosciuto invece è buono, senza una valutazione, senza un filtro personale.

Questo tema della chiusura è molto interessante. Per certi versi ad esempio contrasta l’aver avuto sul territorio industrie come la Texas Instruments. All’epoca non si poteva immaginare nulla di più avanzato. Eppure non sembra essere stata un fattore di apertura ed emancipazione. Sono state presenze troppo brevi per incidere o c’è una resistenza più profonda?

Voglio pensare che la ragione di una certa chiusura sia la prima. Perché se dobbiamo pensare che la chiusura al mondo è atavica in noi e non schioderemo mai da questo dovremmo davvero andare via da Rieti. Probabilmente è una questione di tempi: forse è arrivata prima la crisi del passaggio generazionale.

Del resto bisogna anche ammettere che si intravede qualche segnale interessante: ad esempio nella vita sociale promossa da alcuni locali della città o nel riconoscimento nazionale di alcuni musicisti. Sono riconoscibili nella dimensione locale, ma possono tranquillamente confrontarsi con tutto quello che sta fuori le mura…

È vero, per fare un parallelo letterario potremmo dire che per troppo tempo il personaggio più interessante di Rieti è stato il Brigante Viola, quando invece che ne sarebbero di cose da dire. Bisogna andarle a scovare e dal particolare vanno proposte in modo da non dover essere legati solo ai 100 cittadini interessati a quell’argomento. C’è da conquistare una dimensione che può interessare chiunque, può leggere chiunque. È difficile, ma è possibile.

Occorrerebbe incoraggiare questi segnali di speranza…

Sì, anche perché mi sembra che oggi per i più giovani sia molto più difficile andare fuori. Anche perché i soldi sono finiti e non si trova lavoro facilmente. Dunque conviene rimanere a casa. Almeno ci si ritrova con le spese dimezzate. Rimane però il problema del «che faccio?»

Necessità fa virtù?

Sì, stanno anche tornando utili le esperienze dei ragazzi che sono stati fuori città ed ora per tanti motivi stanno rientrando. Secondo me questo porta a far nascere tante piccole realtà che poi vanno in direzioni diverse.