Economia: dopo la Bce, alibi finiti

Draghi ha giocato tutte le cartucce, ora tocca agli italiani

Una mossa che certifica un fatto: tutte le cartucce in carniere sui tassi, la Bce le ha usate. Può e potrà fare altre cose, anche assi importanti: ma la Banca dell’euro ora passa la palla alla politica, ai governi. Il denaro non costa più nulla, è gratis (il tasso ufficiale è sceso allo 0,05%, cioè zero); l’eurozona sarà tra l’altro inondata di liquidità aggiuntiva con un’operazione che permetterà alla Bce di disincagliare prestiti, mutui, obbligazioni in corpo alle banche, concedendo loro appunto liquidità. Però la Bce non può – e non deve – sostituirsi né ai governi, né agli investitori.

Partiamo da questi ultimi. Il vero problema, come fanno rilevare le banche, non è tanto una carenza di liquidità (ora non più), ma di impieghi: in buona sostanza, c’è poca richiesta di quel mare di liquidità. Stiamo parlando di medio-grandi investitori, di possibili acquirenti, di ristrutturazioni aziendali, di progetti che dalla carta possono diventare realtà. E questo fenomeno risalta soprattutto in Italia, dove a questo punto non mancano i capitali ma i capitalisti.

I quali replicano: in Italia non ci sono le condizioni ottimali per investire; meglio farlo all’estero, nei nuovi mercati da aggredire, nelle economie a basso costo di lavoro, nei Paesi dove gli investimenti vengono tutelati da un quadro politico stabile e da una cornice di leggi e costumi “amichevoli” (friendly, dicono gli anglosassoni).

Così si ritorna alla politica, ai vari governi locali. E non c’è dubbio che l’Italia sia nel mirino sia degli investitori, sia di una Bce delusa dalla lentezza con cui stiamo reagendo alla crisi. Si scrive lentezza per non scrivere immobilità: agli occhi di Francoforte, di Berlino, delle grandi economie mondiali, l’Italia ha cambiato quattro governi in quattro anni, ma poco altro. Sulla giustizia siamo in fase di discussione – e chi ha voglia di investire in un Paese dove le cause civili durano all’infinito e dove le leggi sembrano essere friendly con chi froda, non paga o fallisce di proposito? –; le tasse sono tra le più alte (per chi le paga); aggiungiamo inique, vedi l’Irap.

E poi contratti e diritto del lavoro sono fermi al 1970, allo Statuto che fotografava un’Italia che non c’è più da tempo; vaste aree sono più in mano alle mafie che allo Stato; certe infrastrutture o non ci sono, o ci saranno in un futuro continuamente spostato in là. Lo Stato non ha variato il proprio perimetro di mezzo centimetro, e nel frattempo sono sorti tanti Staterelli (leggi Regioni ed enti locali) altrettanto bulimici, burocratici e spesso inefficienti.

Insomma: cos’è realmente cambiato agli occhi di una multinazionale che voglia investire qui? Leggendo i commenti di chi ci guarda dall’esterno, l’Italia viene vista come una coppia di pensionati un tempo benestanti, che sta gestendo il proprio naturale e progressivo declino in modo altrettanto naturalmente rassegnato, timorosa solo che nemmeno i ninnoli si spostino dalle loro sedi storiche. E ci inchiodano con un dato oggettivo che gli italiani (volutamente?) trascurano: non facciamo più figli, i primi a non credere in noi siamo proprio noi.

È vero che abbiamo sostenuto la nascita di un esecutivo che avrebbe nel suo Dna proprio la voglia di dare una potente scossa a questo Paese. E ciò ci ha regalato un supplemento di credito agli occhi del mondo. Basta che la scossa promessa in cento giorni, ora più saggiamente dilatata a mille, possa già far sentire qualche suo effetto ora. Con le ultime mosse della Bce non abbiamo più nemmeno mezzo alibi dietro al quale nascondere il nostro stanco tirare a campare.