È solo Dio che fa fruttare il seme (Mc 4,26-29)

Leggi e rileggi

Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Medita e rifletti

Come avviene spesso nella Scrittura, anche in questa parabola la sorgente della salvezza viene, con molta forza, riposta in Dio solo. Questa constatazione conduce a rovesciare completamente la convinzione di una religione affidata all’uomo, al suo valore, alla sua giustizia, alle sue opere buone, al suo impegno. Essa sospinge ad abbandonare la riva farisaica dell’autogiustificazione, della presunta giustizia frutto della propria meticolosa osservanza di leggi e precetti, dello sfacciato accampare diritti dinnanzi a Dio, forti dei meriti accumulati ai suoi occhi, del parossistico e frenetico impegno finalizzato a conquistare, o peggio ancora ad acquistare, il paradiso. La convinzione che la salvezza viene da Dio, invita a piantare la tenda della nostra fede sul terreno del puro dono, della totale fiducia, della squisita gratuità, della accoglienza stupefatta, della gioia immeritata, del paziente abbandono, dell’autentico riconoscimento che appunto tutto viene da Dio. Solo così non viene “resa vana la croce di Cristo” (1 Cor, 1,17).

Ci troviamo impreparati al pensiero che Dio possa salvarci con la sola sua gloria, col solo suo amore e ci diamo un gran da fare, come se tutto dipendesse da noi, come se fosse il nostro agitar l’aria a far maturare il seme deposto nel solco. Una tale verità, una “religione” che di questa verità se ne faccia carico, è perciò, tanto difficile e difficilmente predicata! Il pericolo dell’inerzia, dell’accidia spirituale, del “quietismo” è sempre minaccioso, eppure dobbiamo riconoscere che anche dopo aver fatto tutto, siamo sempre “servi inutili” e che dinnanzi a Dio, nonostante le nostre molteplici realizzazioni, dovremmo presentarci a mani vuote. Solo così egli potrà ricolmarle di ogni bene, di una misura ricca, pigiata e traboccante di buon grano.

Un tale atteggiamento religioso appare scandaloso agli occhi di tutti coloro che non sono in grado di contemplare la propria esistenza con gli occhi sereni e lieti del contadino, capaci di scorgere l’opera misteriosa e segreta che Dio, e solo lui, compie nel nostro “campo”. Un tale atteggiamento conduce a far si che possa cessare la religione della pretesa e del ricatto, e possa inaugurarsi la religione della riconoscenza e della lode. Basta con la religiosità delle rivendicazioni e diritti, iniziamo anche noi ad intonare il cantico dei redenti: “Grandi e mirabili sono le tue opere o Signore Dio onnipotente…” (Ap.15,3). Tutto è grazia!

Sono consapevole che il Regno di Dio porta con sé un principio di sviluppo che lo porterà al suo pieno compimento malgrado ogni forza contraria?

So rimettere tutto nelle mani di Dio: la mia vita, i miei progetti, il mio stesso destino eterno?

Sono consapevole della vanità della mia arroganza, dell’inutilità del diritto che accampo sulla mia vita e forse anche su Dio stesso e la sua opera?

Prega

Perdona Signore le mie reiterate pretese. La pretesa di potermi salvare da solo, l’assurda pretesa di rendere vana la Croce del tuo Cristo, perché tanto ci pensano le mie buone azioni a salvarmi; l’inaudita pretesa che debba essere tu ad adeguarti alla mia logica. Fammi comprendere che la fatica delle opere di bene, il sudore della mia carità altro non sono che una risposta al tuo dono d’amore. A condurmi al salvezza non è la mia risposta ma il dono del tuo amore. Questo realizza la salvezza, quella mi aiuta ad accoglierla.

Agisci

Prenderò l’abitudine di presentarmi a Dio a “mani vuote”, perché sia Lui a ricolmarle di ogni bene, per non dover cessare mai di intonare, insieme a Cristo, il perenne Rendimento di Grazie.