Don Domenico: la morte non è la fine, ma il confine

«La vita segnata dalla morte è una domanda che non ci abbandona. Ne prendiamo coscienza quando siamo toccati nella carne. Ma resta un pungolo che solo ingenuamente possiamo scansare o censurare. La morte resta attaccata alla vita. E per quanto i progressi tecnici e la longevità umana siano cresciuti, l’appuntamento con essa è solo rinviato».

Lo ha ricordato il vescovo Domenico Pompili durante la celebrazione eucaristica presso il cimitero di Vazia nel giorno della Commemorazione dei Defunti, aggiungendo che «non si può vivere senza tener conto di questo limite» perché «la morte è la condizione per restare umani. Senza la sua presenza rischiamo di perdere il senso della realtà, di diventare disumani cioè di vivere nell’attimo e di dimenticare la responsabilità verso le generazioni future. La morte è legata alla vita e solo chi sa interrogarsi su di essa evita il patetico rincorrere degli anni e si apre alla sapienza che fa del limite non la fine, ma il confine, cioè la soglia di una nuova possibilità».

Nell’omelia don Domenico ha guardato alla figura di Giobbe quale prototipo dell’uomo che si interroga «sul vero dramma dell’uomo» e cioè sul «mistero del dolore che anticipa quello ancora più radicale della morte», sottolineando che «la vita ad uno sguardo umano resta schiacciata dalla sua fragilità. E allora si comprende che non è dalla natura che può venire la risposta.

La possibilità di sperare, «è legata soltanto alla buona notizia che è Gesù Cristo, il quale “è morto per noi”».

Nella sua esistenza storica «si scopre che egli ha vissuto fino in fondo la condizione mortale, non esclusa l’agonia e la lotta per morire. Ma quel che colpisce in lui è che ha vivificato la sua esperienza con l’amore fino a morire per il nemico. Dunque, non morte e vita si oppongono, ma amore e morte; solo l’amore è più forte della morte, secondo l’intuizione del Cantico de’ Cantici. La sua morte vitale è la strada da battere se si vuol attraversare l’incubo della fine».

E «la traccia della possibile risposta» diviene certezza che si è sulla strada giusta con le parole di Gesù nel discorso di Cafarnao: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

«L’unica possibilità umana di eternità può essere dischiusa dall’amore» sottolinea il vescovo, che citando Gabriel Marcel ricorda: «“Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai”. Nella finitezza del nostro amore noi possiamo così sperimentare un assaggio dell’infinità del nostro essere. Nel frammento dell’amore si tocca il tutto dell’amore. Così le parole del Maestro diventano concrete e affidabili. E ci spingono a seguirlo in vita e in morte».

Un presagio che don Domenico ha rintracciato anche nei versi di Pier Paolo Pasolini, un poeta «nato cristiano» che «ha vissuto come ha potuto, senza mai spegnere del tutto la speranza antica»: «Torno a te, come torna un emigrato al suo paese e lo riscopre… Mi fai ora davvero paura, perché mi sei davvero vicina, inclusa nel mio stato di rabbia, di oscura fame, di ansia quasi di nuova creatura» si legge nel suo “Frammento alla morte”. «Che il Signore ci conceda come Francesco, grazie alla fede, di sentirla pure come “sorella”» ha concluso il vescovo.