Don Domenico: la comunicazione è chiamata a creare comunione e fiducia

«La parola comunicazione per definizione è chiamata ad onorare soprattutto un compito: quello di creare la comunione. La comunicazione sta alla comunione come la strada sta alla meta». Lo ha spiegato il vescovo Domenico introducendo il messaggio del pontefice in occasione della cinquantesima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali agli operatori dei media invitati per un momento di incontro e confronto. Un documento dal quale il vescovo ha tratto alcune indicazioni «per i giornalisti, i fotografi, i reporter, i radiofonici».

La prima considerazione è che «la comunicazione è tale se riesce ad essere personalizzata, se non è rivolta alla massa, ma a ciascuno nella sua unicità».

Questo è possibile quando cerchiamo sempre nel nostro lavoro di metterci nei panni dei nostri destinatari. La comunicazione richiede uno sforzo di immedesimazione, non per offrire la minestra riscaldata che gli altri vogliono ascoltare, ma perché dobbiamo sempre tenere presente che non abbiamo a che fare con un target generico, ma con persone, ciascuna delle quali irripetibile.

«Per creare comunione – ha spiegato mons. Pompili – la comunicazione deve renderci sempre inquieti, insonni». Dunque non ci si può accontentare «di quello che banalmente è più facile». Fare le cose più facili in nome di una maggiore efficienza «è uno dei demoni della nostra società» perché «molte volte significa farle in una forma che non è adeguata alla realtà». Il binomio tra comunicazione e Misericordia prevede che la prima «ci renda inquieti, che sappia osare di entrare dentro la carne viva della società, ma con uno stile che sia appunto misericordioso, che non utilizzi la comunicazione come un’arma contundente».

«È una prospettiva molto esigente» ha riconosciuto il vescovo, ma necessaria per stare al riparo dal rischio «di utilizzare la comunicazione per altri scopi». Una tendenza «diabolica che crea divisioni, genera sospetti, e soprattutto instilla sfiducia».

Noi tutti viviamo una stagione permeata da una atmosfera di sfiducia. Se la comunicazione finisce con l’assecondare questo “trip” della sfiducia, della sensazione che tanto ormai è tutto finito, che andiamo verso lo sfacelo, sicuramente non crea comunione ma divisione.

Alla comunicazione «occorre dunque l’audacia di essere inquieta» la capacità di «andare a cercare le cose senza assecondare quello che è più facile, ma che nello stesso tempo si prenda cura della realtà». E prendersi cura, ha chiarito don Domenico «vuol dire evitare quell’atteggiamento che tende a dividere la società tra ciò che è scarto e ciò che conta».

Foto di Massimo Renzi.