Doctor Strange e la magia “spirituale”

Il 26 ottobre è uscito l’ennesimo capitolo della colossale saga Marvel: Doctor Strange. Ispirato dal fumetto, che risale al 1963, questa pellicola è un piccolo gioiello anche per i non appassionati del genere. Magistralmente interpretato, tra gli altri, da Benedict Cumberbatch e Tilda Swinton, presenta due aspetti degni di nota: gli effetti speciali e il tipo di potere dei supereroi.

Gli effetti speciali si ispirano a film come Matrix, 2001 Odissea nello spazio e Inception. In un certo senso fonde armonicamente alcuni loro stilemi, creando uno stile unico e coerente di grande qualità. Ma gli effetti senza idee, senza un’estetica, sarebbero vuoti. Escher, i frattali, la psidechelia e una massiccia dose di simbologia orientale danno un anima alla computer grafica. La magia del cinema ha sempre bisogno di uno spirito che la guidi.

La magia davvero “spiritualizzata” è però quella praticata dai personaggi. L’immaginario sfruttato dalla pellicola è quello dei piccoli monasteri tibetani che custodirebbero profondi segreti. L’idea del ‘supermonaco’ è presente in moltissimi film, serie tv e anime; è ormai un cliché a tutti gli effetti che diffonde una visione superficiale delle religioni orientali.

Se anche Doctor Strange cede a questo luogo comune del pop, c’è tuttavia un aspetto positivo da sottolineare. La conquista del superpotere, caratteristica essenziale dei film di genere, avviene accedendo alle altre dimensioni del multiverso con un duro allenamento fisico e mentale. Questa crescita spirituale porta a riflettere su temi impegnativi come il significato dell’esistenza, la morte e il tempo.

Probabilmente siamo ancora molto lontani dalla capacità di approfondimento tipiche dei film d’autore. Comunque sia, Doctor Strange è un piccolo passo avanti verso il riconoscimento delle potenzialità espressive di un genere che, finora, è stato etichettato come semplicemente commerciale e ‘fumettistico’.