Divorzi e separazioni: al centro l’attenzione per i figli feriti

Uno studio recente di Vittorio Vezzetti, presidente dell’associazione di genitori separati “Figli per sempre”, ha messo in luce che tanto più lacerante risulta l’addio, tanto più la sofferenza dei figli sfocia in situazioni patologiche. Come le nostre comunità cristiane possono aiutare bambini e ragazzi a superare il dolore di una famiglia ferita? Lo abbiamo chiesto a monsignor Domenico Sigalini, don Paolo Gentili e monsignor Paolo Sartor.

“Quando finisce un amore… ti senti un buco nello stomaco… ti senti un vuoto nella testa e non capisci niente…”. Così cantava nel 1974 Riccardo Cocciante. A soffrire della fine di un matrimonio non sono solo il marito o la moglie: sono anche, ma forse si dovrebbe dire soprattutto, i figli. Un recente studio di un pediatra italiano, Vittorio Vezzetti, presidente dell’associazione di genitori separati “Figli per sempre”, ha messo in luce che tanto più lacerante risulta l’addio, tanto più la sofferenza dei figli sfocia in situazioni patologiche.Papa Francesco, nell’Amoris laetitia, ha rivolto ai genitori separati la preghiera di fare in modo che “i figli non siano quelli che portano il peso di questa separazione, non siano usati come ostaggi contro l’altro coniuge”.Il Pontefice ricorda anche che “aiutare a guarire le ferite dei genitori e accoglierli spiritualmente è un bene anche per i figli, i quali hanno bisogno del volto familiare della Chiesa che li accolga in questa esperienza traumatica”. Secondo i dati Istat in Italia i divorzi nel 2015 sono aumentati del 57% rispetto al 2014. Come possono le nostre comunità aiutare, allora, concretamente i figli feriti da questo dramma?

Problema sottovalutato. “Il problema della sofferenza dei figli – osserva monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Cop (Centro di orientamento pastorale) – non sempre è evidente per gli adulti, che sembrano pensare di poter risolvere la questione con un po’ di giocattoli o di regali.Ci sono genitori, che dicono: ‘nostro figlio ha accettato bene la separazione o il divorzio’. Ma non è così: ad esempio, è diverso quello che succede di fronte a queste situazioni tra i ragazzi, che a volte possono essere anche cattivi.Può capitare che nel gruppo dei pari si facciano commenti anche volgari che feriscono il figlio che si difende picchiando. Occorre, quindi, aiutare i ragazzi a capire queste situazioni”. Per monsignor Sigalini,

“un ruolo fondamentale lo giocano gli educatori, in primis il prete, ma anche i catechisti”.

Non solo: “Come Cop – ricorda – stiamo lavorando molto con gli insegnanti”. La sofferenza dei figli emerge con forza in alcune tappe fondamentali: “Abbiamo una prova assoluta di questa difficoltà al momento di celebrare la prima comunione e la cresima. Attualmente si celebra la prima comunione in quinta elementare, ma sarà anticipata in terza perché abbiamo visto che è meglio aiutarli da quando sono piccoli. La cresima viene amministrata quando si frequenta la terza media: si tratta di ragazzi molto più maturi e anche più consapevoli del dispiacere della carenza della mamma e del papà, un dolore che è elaborato anche attraverso l’intelligenza, mentre per i bambini non è elaborato se non attraverso sentimenti ed emozioni”. È soprattutto all’età di 13/14 anni che “si vede il dramma che essi vivono. Nei ritiri per la cresima, quando si arriva a fare la preghiera da portare durante la celebrazione o al momento di preparare la confessione, ci sono grandi crisi di pianto per chi vive situazioni critiche in famiglia.Bisogna intervenire per aiutare a vivere la difficoltà in un’altra prospettiva. Questo non per chiudere gli occhi davanti ai problemi, ma ad allargare l’orizzonte con i quali affrontarli”.

Saper negoziare. Di fronte alle famiglie ferite e alla sofferenza dei figli “l’approccio giusto è considerare l’intero assetto dei legami familiari, possibilmente accompagnando i genitori fuori dai rancori e dall’astio che ci può essere nel rapporto di coppia per continuare a essere realmente generativi nei confronti dei figli”, suggerisce don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei.

Occorre “aiutare ad acquietare i rancori e a vedere il benessere del figlio come l’orizzonte principale, in qualche modo negoziando”.

Il Papa ha parlato anche della necessità di “negoziare” nell’Amoris laetitia “dando una luce nuova questo termine”: “A volte si può anche perdere, pure avendo ragione, nell’ottica di un bene più grande che è il figlio”. Ciò significa “accompagnare il più possibile anche a una decisione che non metta il figlio in mezzo come una specie di pacchetto da passarsi reciprocamente e su cui scaricare le proprie tensioni. Come si faceva un tempo, anche nascondere le tensioni che si avvertono per il bene del figlio e anche la sua pace interiore”. È necessario “un accompagnamento globale per tutta la famiglia”:“In questo senso – afferma don Gentili – ci sono esperienze interessanti specifiche anche per i figli. Penso soprattutto ai Gruppi di parola (una forma d’intervento breve, che ha lo scopo di accompagnare i bambini e le loro famiglie durante la riorganizzazione della vita quotidiana a seguito della separazione o del divorzio, ndr), che sono seguiti e sollecitati dall’Università cattolica del Sacro Cuore, e a esperienze di catechesi che tengono conto della situazione dei figli che hanno vissuto in famiglia la separazione”.Dunque, “stanno nascendo forme di accompagnamento sempre più di prossimità verso queste piccole persone ferite”.

Più attenzione. “Il cammino di catechesi, essendo un percorso non solo di insegnamento di cose religiose, ma anche di maturazione e umanizzazione, può rappresentare un aiuto per questi bambini e ragazzini, come anche in altri casi di traumi e problemi: penso al caso delle disabilità di vario tipo, dei problemi di salute, dei minori adottati o in affido. Sono tutte situazioni non in se stesse problematiche, ma che certamente richiedono un’attenzione in più”, evidenzia monsignor Paolo Sartor, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei. “Il catechista oggi vive questa pluralità di attenzioni e di contatti come ordinaria.Per quanto riguarda i figli di separati e divorziati è una situazione frequente che viene gestita con attenzione all’interno del cammino – precisa monsignor Sartor -. Penso, ad esempio, al voler fare in modo che i genitori condividano le decisioni insieme sul cammino di fede, cosicché non sia solo un genitore a prendere delle decisioni come la richiesta di sacramenti”.