Dire fede con i giovani

Cardinale Ravasi: partire dalle loro “diversità” e dai loro “semi sorprendenti di fecondità e autenticità”.

I giovani “sono il presente e non solo il futuro dell’umanità”, e la loro “diversità” contiene “semi sorprendenti di fecondità e autenticità”. Per questo, “abbandonando le pur necessarie analisi” sulla loro fede, “preferirei puntare sulla fede nei giovani, cioè sulla fiducia nelle loro potenzialità, pur sepolte sotto quelle differenze che a prima vista mi impressionano”. Così il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, presentando questa mattina in sala stampa vaticana l’assemblea plenaria del Dicastero in programma dal 6 al 9 febbraio a Roma su “Culture giovanili emergenti”. L’evento si aprirà nel pomeriggio del 6 febbraio alla Lumsa (ore 17) con gli interventi del rettore Giuseppe Dalla Torre e dello stesso card. Ravasi, cui seguirà un concerto della rock band italiana “The sun” che introdurrà la conferenza di apertura del sociologo David Le Breton (Università di Strasburgo) su “Dall’universo al multi-verso, analisi delle culture giovanili”. I lavori proseguiranno nei giorni successivi a porte chiuse. La mattina del 7 febbraio è prevista l’udienza con Benedetto XVI.

La questione giovanile.

“Porsi in ascolto attento della questione giovanile che stiamo vivendo nei diversi continenti” è l’obiettivo della plenaria, ha spiegato il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, secondo il quale tale questione “esiste anche nella Chiesa e diventa più accesa a causa, tra l’altro, dell’evidente difficoltà nella trasmissione della fede”. Le “domande spesso contraddittorie” dei giovani “hanno molto da dire anche a me, appartenente a una generazione ormai sorpassata”, ha assicurato il card. Ravasi auspicando l’affiorare di “un esame di coscienza nei genitori, nei maestri, nei preti, nella classe dirigente”: insomma in quegli adulti che hanno creato una “insopportabile complessità sociale, politica, religiosa” dalla quale i giovani si sentono spesso esclusi. Noi, ha ammesso, “li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, la marginalità”. Di qui l’esortazione a valorizzarne le risorse e la ricchezza sull’esempio di san Giovanni Bosco, “una vita in sintonia con i giovani”, del quale ricorre oggi la solennità, data non a caso scelta per la presentazione dell’evento alla stampa.

Analisi culturale.

La “nostra prospettiva” è quella di una “analisi culturale delle trasformazioni negli adolescenti e nei giovani, che mettono in questione le pratiche evangelizzatrici”, ha chiarito mons. Carlos Alberto Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio della cultura, illustrando i particolari delle giornate (programma su www.cultura.va). Tra i principali temi che saranno oggetto di riflessione e confronto, la cultura digitale che richiede “un discernimento da parte della Chiesa e un profondo cambiamento di linguaggio”, l’alfabeto “emotivo” e le modalità di socializzazione dei giovani, la loro fede. Della sua Africa “ferita e divisa”, ma che “avrebbe tanto da dare al mondo” in termini di “forte accoglienza” e “apertura al trascendente”, ha parlato la malgascia Fara Bemahazaka, studentessa presso la Facoltà di economia e commercio dell’Università di Firenze. “Come tanti giovani – ha detto – vorrei realizzare qualcosa di grande nella mia vita. In particolare, desidero tradurre la spiritualità e i valori della fede cristiana in azioni per il bene della mia gente”. Fara, che con altri giovani ha costituito l’Associazione degli studenti africani a Firenze, è persuasa che i giovani possano e debbano “entrare nel vivo della società, pronti a intervenire là dove si manifestano le sofferenze più acute”.

Presenza, coerenza e testimonianza.

Oggi la Chiesa “deve fare i conti” con l’indifferenza e il pressapochismo dell’habitat degli odierni “nativi digitali”. Ne è convinto il secondo dei giovani testimoni presenti all’incontro odierno, l’italiano Alessio Antonielli, secondo il quale “nella società liquida”, o “la Chiesa impara a nuotare oppure affoga”. C’è bisogno di “intercettare le esigenze” dei giovani, “c’è bisogno di presenza”. “Se oggi non si è presenti in certi canali è come se non si esistesse”, ma soprattutto, ha precisato Antonielli, occorre “tradurre” il messaggio della fede “attraverso la coerenza, mediante la testimonianza di vita, con un ragionamento razionale che possa arrivare alle persone in modo semplice e veloce da una parte, profondo e comprensibile dall’altra”. Rispondendo ad alcuni interrogativi arrivati in diretta durante l’incontro a padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Sacro convento di Assisi, il card. Ravasi ha rammentato, con riferimento agli scandali, che la Chiesa “non è una comunità angelica al di sopra della realtà, ma una realtà incarnata” che sta “anche nella polvere e nel fango”, e questo “è un rischio”, ma ne ha ricordato anche l’impegno di carità in diversi ambiti ed emergenze sociali. Replicando a un’altra domanda, il porporato ha sottolineato la difficoltà del dialogo non con chi si dice “fieramente laico”, bensì con “la zona grigia, la mucillagine, la nebbia dell’incredulità” che “non consente di avere un’interlocuzione”.