Da un piccolo seme…

Due immagini in questa domenica per descrivere il Regno di Dio: il seme che cresce da solo e il granello di senape. Tema centrale nella predicazione di Gesù il Regno: non tanto e non solo proclama la sua esistenza, verità ben nota ai suoi ascoltatori; ma lo rende vicino alle donne e agli uomini del suo tempo, e di tutti i tempi. Nel racconto di Marco la prima parabola evidenzia un fatto: il seme cresce, come dire, senza che il contadino se ne occupi: la sua semina va oltre le sue quotidiane fatiche, e i frutti arriveranno, per questo pone la sua fiducia nella forza del seme e nella bontà del terreno. Il granello di senape è storia simile, nella sua diversità: è il più piccolo di tutti i semi, ma dà vita alla “più grande di tutte le piante dell’orto”, scrive Marco nel suo Vangelo. In queste parabole c’è tutta la consapevolezza della nostra impotenza, della nostra piccolezza: la certezza di chi non confida nella propria forza. Nelle due parabole, diceva Benedetto XVI, c’è crescita e contrasto: “la crescita che avviene grazie a un dinamismo insito nel seme stesso e il contrasto che esiste tra la piccolezza del seme e la grandezza di ciò che produce”.
Allora come oggi ci chiediamo cosa fare, nella nostra apparente impotenza, di fronte ai grandi problemi, alle difficoltà che vediamo, e ai quali non sappiamo dare una risposta, anche immediata. Non è il nostro tempo, il modo con il quale noi concepiamo il tempo ad essere in primo piano. Ce lo dice innanzitutto la lentezza della crescita del seme: il contadino semina, sa attendere il trascorrere delle stagioni e sa che verrà il tempo della mietitura. È il “miracolo dell’amore” che fa germogliare e crescere ogni seme, ed è proprio questo, diceva Papa Benedetto, che “ci fa essere ottimisti nonostante le difficoltà, le sofferenze e il male che incontriamo”.
Il seme, afferma Papa Francesco all’Angelus, è “simbolo della parola di Dio”, e questa “opera con la potenza di Dio nel cuore di chi la ascolta”. Se viene accolta, la parola porta certamente frutto “perché Dio stesso la fa germogliare e maturare attraverso vie che non sempre possiamo verificare e in un modo che noi non sappiamo”.
Fermiamoci ora a riflettere sul granello di senape, un piccolo seme. Sembra quasi che il Signore ci dica di non avere paura perché non si fanno cose grandi dall’alto della potenza e grandezza: lui privilegia il “piccolo”, l’ultimo. E lo leggiamo in continuazione: chi vuole essere il primo sia schiavo di tutti; beati i poveri, i miti. Insomma, chi si fa piccolo e umile produce frutto, perché la logica di Dio non è la stessa logica umana: sceglie la debolezza per affermare l’energia dell’amore e privilegia i deboli, i malati, i piccoli e gli esclusi per manifestare la straordinaria forza della misericordia. Il Regno di Dio è “una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante. Per entrare a farne parte – afferma ancora Papa Francesco all’Angelus – bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle proprie capacità, ma nella potenza dell’amore di Dio; non agire per essere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che predilige i semplici e gli umili”.
Mi viene alla mente il recentissimo viaggio del Papa nella città di Sarajevo, e il suo appello alla pace, là dove un conflitto ha diviso e ucciso donne e uomini solo perché appartenenti ad un’altra etnia, ad un’altra fede. Ecco la nostra impotenza di fronte al desiderio di pace. Ma nessun pessimismo, perché costruire la pace, diceva nell’omelia a Sarajevo Francesco, è “lavoro artigianale” che richiede “passione, pazienza, esperienza e tenacia”. La pace, affermava, è “il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato”. Ancora, “è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi”. La nostra debole opera, “apparentemente piccola di fronte alla complessità dei problemi del mondo, se inserita in quella di Dio non ha paura delle difficoltà”. Questo “ci apre alla fiducia e alla speranza, nonostante i drammi, le ingiustizie, le sofferenze che incontriamo”. È la radice dell’ottimismo di chi crede e si affida al Signore.