Negli affreschi di Sant’Angelo in Formis, come per Pontormo e Caravaggio
L’episodio evangelico di Emmaus è stato variamente raffigurato dagli artisti nel corso dei secoli, e proprio la sua particolare iconografia ha rispecchiato le tensioni spirituali ed il contesto sociale delle varie epoche.
Nel medioevo la ricerca di Dio e l’aspirazione a ritrovare dentro di sé Cristo, conducono l’uomo ad un percorso, un itinerario, che non è solo un cammino terreno ma soprattutto spirituale. Nascono così le tre “peregrinationes maiores”, ovvero le strade che conducono a Roma, Gerusalemme e Santiago de Compostela, luoghi dove maggiormente il Signore si è manifestato. L’epoca di mezzo ci consegna la più antica immagine della narrazione di Emmaus. Nella basilica benedettina di Sant’Angelo in Formis, vicino Capua, tra le molteplici immagini del meraviglioso e vasto ciclo di affreschi dell’XI secolo, viene raffigurato Gesù Cristo in cammino affiancato da due personaggi. L’episodio è noto come “Gesù ed i Pellegrini di Emmaus”. Luca nel suo Vangelo racconta che, dopo la Resurrezione, Cristo si finge un “forestiero”, uno straniero, e incontra due discepoli che disperati e attoniti dopo la morte del Messia tornano verso casa, a Emmaus. La parola “forestiero” in latino viene declinata in “peregrinus”: infatti Cristo è rappresentato con abiti da viandante, con il tipico bastone per facilitare il cammino e la bisaccia. Questa rappresentazione ha una doppia valenza: da un lato vuole ricordare che Gesù cammina sempre accanto ai suoi fedeli, dall’altro invece suggella il pellegrinaggio.
Nel Rinascimento l’uomo è tornato cosciente dei propri mezzi e la Filosofia, soprattutto platonica, e la Teologia trovano comune terreno nella storia della Salvezza dell’umanità. Gli artisti elaborano meravigliose composizioni, dove la raffinata bellezza delle immagini, la costruzione prospettica, sono al servizio della forza del messaggio divino. È di Pontormo la “Cena in Emmaus” del 1525 (Firenze, Uffizi). La scena, che risponde ad un perfetto equilibrio, è impostata su un’atmosfera sospesa e sacra, resa dal sapiente utilizzo di una cromia sfumata e pastosa: Gesù è posto frontalmente, come se guardasse aldilà del quadro, mentre i due discepoli sono disposti simmetricamente ai lati. Tutto si concentra sul gesto benedicente del Signore, suggellato dalla presenza in alto di un cerchio luminoso con un triangolo, simbolo della Trinità. La Cena in Emmaus del Pontormo pone soprattutto l’accento sulla natura divina del Cristo risorto.
Nel Seicento il clima culturale e spirituale è cambiato, siamo in piena Controriforma e muta quell’equilibrio tutto rinascimentale tra classicismo e cristianesimo, tra Dio e uomo. Alla verità rivelata si contrappone la realtà, elaborata sulla scorta del movimento pauperistico e sulle idee di Carlo e Federico Borromeo e di Filippo Neri. L’artista che meglio interpreta questo momento è Michelangelo Merisi. Anche Caravaggio si confronta con la Cena in Emmaus, con ben due versioni: la prima del 1601 (Londra, National Gallery) e la seconda del 1606 (Milano, Brera). In entrambi i dipinti la scena è ambientata in un luogo scuro e povero, appena illuminato dalla luce che ha potere di redimere. Il Cristo della tela londinese è un giovane imberbe, rimando all’eterna giovinezza del Signore, e benedice il pane ed il vino sul tavolo, in un esplicito rimando alla mensa eucaristica. Cleofa, con la conchiglia di Santiago puntata sul petto, lo ha riconosciuto e allarga le braccia richiamando la Croce. Anche i frutti nella canestra hanno una valenza simbolica: vogliono ricordare la Passione e la Resurrezione del Cristo, mentre il pane, spezzato irregolarmente, rammenta un gesto naturale, questo perché la composizione caravaggesca è impostata su una forte valenza dottrinale: deve evidenziare la dimensione umana del Cristo e la sua funzione salvifica nella storia dell’umanità: “Tu solus peregrinus es in Ierusalem et non cognovisti, quae facta sunt in illa his diebus?”.