Fabiano Hong-joun Choi, scrittore e produttore di documentari televisivi: “Il popolo coreano ha visto l’amore del Papa per i giovani, i sofferenti, gli ammalati”. Le persone radunate a piazza Gwanghwamun, circa un milione, “rappresentano una luce per la Corea”. E sui rapporti tra le due Coree: “Non dobbiamo perdere la speranza che ci possa essere anche per noi la possibilità di poterci un giorno di nuovo abbracciare, che avvenga ciò che è avvenuto, per esempio, per la Germania”.
“Corea, esci dalla tristezza”. Così il quotidiano economico più importante della Corea del Sud, il “Hank ook Il Bo”, il “Sole 24 ore” coreano, ha titolato a tutta pagina la visita pastorale di Papa Francesco. E il “Korea Times” ha dedicato addirittura l’intera mezza prima pagina ai martiri coreani beatificati dal Pontefice con un enorme numero “124”. La televisione nazionale “Kbs” ha dedicato ore di dirette alla visita. La Corea ha dunque manifestato grande interesse per il Papa. Fabiano Hong-joun Choi è uno scrittore e produttore di documentari televisivi. È stato presidente dell’apostolato dei laici della Chiesa coreana. “Il popolo coreano – dice -, e non solo i cattolici, prova un grande amore per il Papa”.
In piazza Gwanghwamun hanno partecipato alla Messa per la beatificazione dei 124 martiri circa un milione di persone. Come si spiega una folla così numerosa in Corea?
Anche per la persona più famosa del mondo sarebbe stato impossibile radunare tutta questa gente. Credo che per riunire un milione di persone ci sia stato l’intervento di Dio. Per noi piazza Gwanghwamun riveste un significato molto importante. Gwangh significa luce. E quelle persone radunate rappresentano una luce per la Corea, una luce che risplende nel luogo in cui sono morti martiri centinaia di cattolici. Il loro sangue è divenuto oggi luce per la Corea. Indica che nella prova si può sempre risorgere. Per questo credo che sia stato Dio a realizzare tutto questo. Non è stata la fama di una persona.
Di che cosa ha bisogno la Corea?
Il Papa varie volte ha ripetuto l’appello alla riconciliazione. Ed è un messaggio che penetra profondamente nel popolo coreano attraversato da forti tensioni che provocano fratture e divisioni a molti livelli. Tra le generazioni, tra Nord e Sud del Paese, tra ricchi e poveri. È una tensione che chiede di essere riconciliata. Ma per riconciliarla c’è bisogno di perdono. Se non c’è perdono, non ci può essere riconciliazione. Anche il Papa ha ripetuto spesso in questi giorni le sfide del perdono, della riconciliazione e della pace. La Corea ha bisogno di perdono, riconciliazione e pace.
Il Papa è arrivato in una società profondamente scossa dalla tragedia del traghetto Sewol. Come si è mosso?
Anche su questa vicenda, per esempio, si vive una tensione molto forte. Il Papa si è avvicinato ai familiari delle vittime, li ha abbracciati e consolati ma anche questi gesti sono stati strumentalizzati dalle varie parti e sfruttati per rafforzare le diverse opinioni.
Il Papa ha sottolineato il pericolo di una cultura del denaro. Perché proprio qui in Corea?
Perché la nostra società è attraversata da un forte materialismo. Quello che l’Occidente ha sperimentato, noi lo stiamo ripetendo. Si sta sviluppando una cultura in cui non c’è più spazio per Dio. E proprio in questo momento, così difficile, è arrivato il Papa. Ha pronunciato parole molto forti sulle conseguenze in termini di povertà ed emarginazione che provoca una cultura fondata sul denaro, sul costo di sistemi economici sfrenati che conducono a un deserto interiore. Sento che dobbiamo aprire i nostri cuori a quello che il Papa ha detto e attuarlo. È in gioco la salvezza della nazione.
Corea del Nord e del Sud: il Papa vi ha definito popoli che fanno parte di una famiglia. Come avete accolto queste parole?
Sono stato due volte in Corea del Nord e posso dire che i due Paesi sono molto lontani tra di loro. Ci ha molto colpito anche il lancio dei missili il giorno stesso dell’arrivo del Papa. Tutto ciò denota che il processo di riconciliazione e di pace non è semplice. Il Papa ha parlato di famiglia. Ci arriveremo ma sarà un processo lungo. Anche i cuori si sono raffreddati: fino a 15 anni fa i coreani del Sud portavano aiuti al Nord. Poi ci sono stati morti e bombardamenti e il popolo si è inevitabilmente raffreddato. Ma non dobbiamo perdere la speranza che ci possa essere anche per noi la possibilità di poterci un giorno di nuovo abbracciare, che avvenga anche qui il miracolo dell’unificazione che è avvenuto, per esempio, per la Germania.
Come pensa che cambierà la Chiesa dopo la visita di Papa Francesco?
Dobbiamo prendere sul serio l’impegno di un cambiamento interiore che ci viene sollecitato dalle parole e dall’esempio di Francesco, altrimenti la visita del Papa passerà come un evento effimero. Il Papa ha incoraggiato i laici ad uscire fuori, ad andare verso le periferie. Se lo faremo, il nostro cuore cambierà. Se lo metteremo in pratica, contribuiremo a trasformare la società e la Chiesa”.
Quale eredità lascia Papa Francesco nella Chiesa e nella società?
Come Chiesa abbiamo potuto vedere che Papa Francesco vive ciò che dice. All’incontro con i laici, avevamo preparato una sedia molto grande che lui però ha fatto togliere per sedersi su una normale. In lui la parola e l’azione coincidono. È questa coincidenza della testa con il cuore che dobbiamo imparare. Cosa lascia nella società coreana? Il popolo coreano ha visto l’amore del Papa per i giovani, i sofferenti, gli ammalati. Lascia in eredità l’amore per i più piccoli e i più emarginati.