Le parole del Papa

Contro l’ipocrisia del cuore

L’osservanza letterale dei precetti, ci dice Francesco, è qualcosa di sterile se non cambia il cuore e non si traduce in atteggiamenti concreti

L’Afghanistan entra prepotentemente nella riflessione del Papa all’Angelus; non si può restare indifferenti, non si può voltare la testa dall’altra parte. Con i suoi morti e le violenze, con il pericolo di nuovi attentati, mentre la possibilità di una pace sembra sempre più compromessa non solo in Afghanistan, l’appello del Papa è rivolto a tutti i cristiani: “in momenti storici come questi non possiamo restare indifferenti”; di qui l’invito a intensificare “la preghiera e il digiuno”. Francesco ha manifestato vicinanza a quanti “per le vittime e gli attacchi suicidi”, ha chiesto di continuare “a prestare aiuto a donne e bambini”, pregando “perché dialogo e solidarietà portino a una convivenza pacifica e fraterna”.

Vengono alla mente le parole di un vescovo “scomodo”, don Tonino Bello, il quale, così si rivolgeva ai responsabili della guerra nella ex Jugoslavia: “a tutti diciamo deponete le armi, sottraetevi all’oppressione dei mercanti della guerra” ma non sottraetevi “alle responsabilità di influire in modo determinante, ma non con le armi che consolidano la vostra potenza e le vostre economie, ma con mezzi efficaci di pressione e di dissuasione, per fermare questa carneficina che disonora insieme chi la compie e chi la tollera”.

Se indifferenza è la parola che il Papa mette in primo piano di fronte alle ferite e alla violenza che si sta consumando in Afghanistan, un’altra parola entra nella riflessione che ha preceduto la recita della preghiera mariana dell’Angelus: ipocrisia. Il Vangelo di questa domenica ci mette di fronte all’ipocrisia di chi – scribi e farisei – è più attento alle regole che alla parola; capace di fare le bucce in nome di un rigore che nulla a che fare con l’accoglienza dell’altro. “Invano mi rendono culto, insegnano dottrine che sono precetti degli uomini”, leggiamo nel testo di Marco, che avevamo lasciato cinque domeniche fa per riflettere sulle pagine di Giovanni. Troviamo Gesù in una disputa con scribi e farisei, i quali osservano la legge, i precetti, dal lavarsi le mani prima di mangiare – è proprio dal fatto che alcuni discepoli del Signore avevano toccato cibo senza aver passato le mani nell’acqua, che ha avuto inizio il dialogo – ad altri oltre 600 precetti voluti dall’uomo. Gesù cita loro il profeta Isaia: “questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi adorano”. Una risposta dura, che mette subito in discussione la logica del “politicamente corretto” per andare alla radice della fede, mettendo in guardia da una esteriorità fatta spesso di compromessi. L’unica preoccupazione sembra quella di lavarsi le mani prima di mangiare. Lo stesso gesto che compirà in seguito Pilato.

Lavarsi le mani non è una cosa cattiva – e in questo tempo di pandemia abbiamo sperimentato la necessità di un simile atto – buona abitudine rituale, semplice gesto prima di mangiare, ma Gesù non ci bada, dice il vescovo di Roma, perché per lui “è importante riportare la fede al suo centro”. Per essere buoni cristiani non basta l’osservanza esteriore della fede, “le formalità esterne mettendo in secondo piano il cuore della fede. Anche noi – dice Francesco – tante volte ci ‘trucchiamo’ l’anima”. È il rischio di una “religiosità dell’apparenza: apparire per bene fuori, trascurando di purificare il cuore”. Ecco l’ipocrisia, “la tentazione di ‘sistemare Dio’ con qualche devozione esteriore”. Gesù, dice il Papa, “non si accontenta di questo culto. Gesù non vuole esteriorità, vuole una fede che arrivi al cuore”. L’osservanza letterale dei precetti, ci dice Francesco, è qualcosa di sterile se non cambia il cuore e non si traduce in atteggiamenti concreti. Don Tonino Bello ricordava che “non bastano le opere di carità se manca la carità delle opere”.

Le abluzioni, il lavarsi le mani, gesti per non essere impuri, dicono scribi e farisei. Per Gesù, afferma il vescovo di Roma, “non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro”, mentre è “dal di dentro, dal cuore” che nascono le cose cattive. Proviamo a cominciare dalle nostre colpe, chiede il Papa, e smettiamola di pensare che il male provenga soprattutto da fuori, “basta incolpare gli altri, la società, il mondo, per tutto quello che ci accade”. Iniziamo a distribuire le colpe perché “incolpare gli altri è perdere tempo. Si diventa arrabbiati, acidi e si tiene Dio lontano dal cuore”.