Secondo una ricerca del ”Progetto Amico”, quelli censiti sarebbero 7mila (erano appena 2mila nel 2006), ma si calcola che possano essere effettivamente almeno il doppio. Non si tratta sempre di ”cervelli in fuga”. Tanti sono laureati o imprenditori che hanno deciso di investire in questo Paese, ma non mancano giovani che si sono trasferiti forti solo della propria professione o capacità artistica.
Nel 2012 hanno lasciato l’Italia 26mila giovani tra i 15 e i 34 anni e negli ultimi 5 anni quasi 100mila giovani si sono trasferiti all’estero. I paesi di maggiore attrazione sono quelli europei anche se un dato significativo riguarda i paesi asiatici ed in particolare la Cina.
Una ricerca della Fondazione Migrantes, attraverso il Progetto “Amico” (Analisi della Migrazione degli Italiani in Cina), dimostra che nel Paese asiatico vivono circa 7mila italiani. Il dato proviene dall’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero (Aire) e certamente è un dato per difetto. Secondo alcune fonti i residenti nel Paese del Dragone oggi sono circa il doppio del dato registrato dall’Aire, che è aumentato di oltre il 200% negli ultimi anni: nel 2006 gli italiani in Cina erano meno di 2mila.
La ricerca della Migrantes, che sarà presentata oggi a Roma – e che in questa pagina anticipiamo in parte – è confluita nel volume “Sulle orme di Marco Polo: Italiani in Cina” (Ed. Tau) ed è stata realizzata da Giovanna Di Vincenzo, Fabio Marcelli e Maria Francesca Staiano.
Ma dove vivono, chi sono, da dove vengono e cosa fanno gli italiani residenti in Cina? La maggiore concentrazione di italiani risiede a Hong Kong e nelle aree di competenza di Shanghai e Pechino, le zone più sviluppate del Paese dove sono sorte società straniere e veri e propri distretti industriali che hanno attratto ovviamente anche le imprese italiane. La maggioranza degli italiani sono maschi con un’età che va dai 35 ai 44 anni nel 29% e inferiore ai 18 nel 28%, mentre gli over 65 sono il 2% e gli ultra-75enni l’1%. La maggioranza proviene dal Nord Italia, soprattutto Lombardia, Veneto e Piemonte.
Quando si parla di giovani italiani che vanno all’estero spesso si parla di “cervelli in fuga”. Ma non è sempre così. In Cina vivono sì italiani laureati o imprenditori che hanno deciso di investire in questo Paese. Ma non mancano giovani che hanno voluto “trasferire” la loro professione o arte come Rino, un giovane chef del Napoletano con l’idea di portare la vera cucina italiana “dovunque io vada, creando le materie prime che non ho, e costruendo una nuova memoria del cibo italiano che elimini quella ‘parallela’ dei ristoranti di bassa levatura”. Rino, dopo una lunga gavetta ha aperto a Canton un ristorante Anema&Core. Il territorio cinese non offre tutti i prodotti con cui gli chef sono abituati a lavorare per preparare le pietanze della tradizione italiana, quindi, Rino ha integrato le lacune cinesi mettendo a disposizione le sue capacità, soprattutto casearie. La prima cosa che non poteva mancare ad uno chef campano è certamente la mozzarella di bufala. Un alimento difficile da trovare in Cina, anche a causa della sua facile deteriorabilità. Così Rino ha studiato il territorio cinese e ha scoperto che proprio nel Sud della Cina ci sono degli allevamenti di bufali, provenienti dall’India, e dopo una serie di contatti con gli allevatori, ha iniziato a sperimentarne il latte. I risultati sono stati “a dir poco sorprendenti”. Ma non si è fermato qui: è riuscito anche a produrre la pancetta, il prosciutto, la mortadella, etc. “La cultura del cibo come filiera che unisce materie prime, sapienza, accoglienza, abbinamenti e sperimentazione” sono per Rino la ricetta vincente.
Alice, veneta di trentadue anni, che ha lavorato all’Expo di Shanghai in qualità di direttrice del Padiglione Venezia, ha deciso, invece di realizzare un progetto internazionale sul turismo cinese in Italia. “I cinesi sono sempre più affascinati ed incuriositi dall’Italia – dice – ma spesso hanno una conoscenza superficiale della nostra cultura e tradizione, legata talvolta agli stereotipi, anche per colpa delle nostre attività di comunicazione. Pertanto occorre puntare più sulla diffusione del particolare, dell’elemento locale, quale componente di una composizione più ampia dell’offerta culturale italiana”. Il core business dell’azienda, che ha sede a Brescia, è il supporto all’internazionalizzazione delle imprese italiane che vogliono affacciarsi sul mercato cinese offrendo loro servizi di assistenza e sostegno soprattutto dei piccoli imprenditori, sprovvisti spesso delle strategie adeguate di ingresso nel mercato e sviluppo del proprio business.
Non mancano operatori di Ong o religiosi come Padre Fernando arrivato in Cina in incognito da più di venti anni. Residente in Cina con un visto di lavoro come tecnico informatico, la sua opera si concentra sul recupero di persone con disabilità, soprattutto ragazzi affetti dalla sindrome di Down attraverso il teatro, la musica, il lavoro di gruppo, un percorso didattico personalizzato all’interno della scuola.
Secondo la ricerca, tra gli italiani trasferiti in Cina ci sono anche cinesi nati o cresciuti in Italia, che si sono messi in spalla il bagaglio della propria esperienza e sono ritornati in patria per cogliere i vantaggi dello sviluppo del loro Paese. Il fenomeno appare già evidente facendo un giro nelle varie Chinatown delle città italiane, dove molti negozi di casalinghi e abbigliamento cinese hanno chiuso i battenti. Tra questi Yue, cresciuto a Roma, con alle spalle un master in Germania e uno stage alla sede di Ginevra delle Nazioni Unite che ora lavora a Pechino per un’azienda australiana. Yue è membro fondatore di Rete G2 Seconde Generazioni, un network costituito da figli di immigrati originari di Asia, Africa, Europa e America Latina, impegnati nella lotta per il diritto di cittadinanza alle seconde generazioni e nella promozione dell’integrazione culturale.