La Chiesa “crede” all’Europa. E i cristiani?

Il magistero dei pontefici e i pronunciamenti degli episcopati sostengono, da sempre, il processo di integrazione comunitaria, pur segnalandone eventuali criticità o ritardi. Gli organismi ecclesiali di respiro europeo, Ccee e Comece, confermano questa attenzione costante. Occorre però domandarsi se i credenti prendano sul serio l’impegno per edificare la “casa comune”

Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Sono talmente numerosi i riferimenti del magistero ecclesiale alla “casa comune” europea, che se un cristiano prendesse sul serio gli insegnamenti dei Pontefici e dei vescovi non potrebbe che “fare il tifo” per l’Ue.
La Chiesa, infatti, sin dai primi passi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca, 1951) e della Comunità economica europea (Cee, 1957), ha accompagnato e incoraggiato il cammino verso l’unità europea, inteso come percorso politico di popoli e Stati volto alla pace, alla tutela dei diritti delle persone, alla costruzione del benessere materiale: tutti elementi basilari affinché ogni donna e ogni uomo possa vivere in pienezza la propria umanità e la propria dignità trascendente, in un contesto di libertà religiosa.
La Chiesa, con diverse voci e forme, ha anche criticato – quando ne verificava la necessità – taluni passaggi politici poco coerenti col disegno iniziale o fuori asse rispetto ai principi che reggono la stessa “casa comune”.
Soprattutto dagli anni ’60 del Novecento in poi, i riferimenti del magistero si sono moltiplicati: basterebbe pensare ai pronunciamenti in materia di Papa Paolo VI, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e, con sempre maggior frequenza, di Papa Francesco. Alle parole dei pontefici si dovrebbero poi aggiungere quelli del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee, organismo pastorale di respiro continentale, presieduto dal cardinale Angelo Bagnasco), quelli degli episcopati di tutta Europa (anche se talvolta con accenti differenti tra loro) e dei singoli vescovi, senza trascurare le prese di posizione e l’azione sul campo delle associazioni cattoliche di tutto il continente e dei partiti di ispirazione cristiana.
Proprio nei giorni scorsi, intervistato dal Sir, il cardinale Bagnasco ha ad esempio affermato: “Il 60° anniversario del Trattato europeo”, che sarà celebrato a Roma il prossimo 25 marzo, “è un’occasione propizia, affinché i Capi di Stato confermino il sogno europeo, e facciano un serio esame di coscienza se il progetto è rimasto fedele ai Padri fondatori. I segnali di diffidenza e di lontananza dall’Unione ci sono. Non prenderli sul serio sarebbe da irresponsabili”. E ancora: “La Chiesa crede nell’Ue, ma con una base non individualista e materialista, bensì di ordine culturale e spirituale”.
Dal canto suo Papa Bergoglio ha assegnato all’Europa attenzioni crescenti. E durante la sua visita alle istituzioni Ue a Strasburgo, il 25 novembre 2014, ha confermato la linea di attenzione e sostegno al processo di integrazione. In uno dei discorsi pronunciati nella città alsaziana, Francesco ha dichiarato: “È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda, difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità”.
È pur vero che gli incoraggiamenti non bastano. Il laico cristiano, tenendo fede alla sua vocazione secolare, è chiamato a impegnarsi nella “città dell’uomo”, partecipando alla comunità civile, sia essa il comune, la regione, lo Stato, l’Europa. Su questo aspetto ha avuto parole inequivocabili Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” del 2003. “È necessaria – scriveva Wojtyla al numero 117 – una presenza di cristiani, adeguatamente formati e competenti, nelle varie istanze e istituzioni europee, per concorrere, nel rispetto dei corretti dinamismi democratici e attraverso il confronto delle proposte, a delineare una convivenza europea sempre più rispettosa di ogni uomo e di ogni donna e, perciò, conforme al bene comune”. Poche righe per ricordare il dovere dei credenti all’impegno socio-politico, la necessità della formazione e della competenza (quanti giudizi affrettati e approssimativi, anche per parte cristiana, sull’Ue!), l’accettazione del processo democratico (fatto di maggioranze e minoranze), l’obiettivo alto del bene comune o di quanto ad esso più si possa concretamente avvicinare.
La Chiesa ha inoltre creato un organismo apposito – con competenze etiche, giuridiche, economiche, politiche – per seguire passo passo l’integrazione europea: si tratta della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece, con sede a Bruxelles), nella quale la Cei è rappresentata da mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, con incarico di vicepresidente).
La Chiesa, dunque, “crede” all’Unione europea. E i cristiani dei diversi Paesi europei?