Il passaggio da un anno all’altro richiama la bella immagine della staffetta 4×100 quando un atleta in corsa consegna a un altro il testimone. Sulla pista tutto accade molto rapidamente e secondo regole precise. Ed è la velocità a determinare l’esito della gara.
Ma ciò che ha significato in una competizione atletica ha uguale significato nello snodarsi della vita dell’uomo nel tempo?
Occorre sempre correre?
La domanda nasce ai bordi di una cronaca che racconta fatti e problemi accostandoli velocemente e senza alcuno stacco tra l’uno e l’altro. Si voltano rapidamente le pagine senza concedere una sosta.
Sulla frontiera tra un anno e l’altro questo movimento si ripete e diventa sintesi di dodici mesi. È un incrociarsi rapidissimo di luci e di ombre accompagnato dall’auspicio di un futuro migliore.
Un anno è uscito di scena: non è il caso di fare ancora una volta l’elenco delle tragedie messe in prima pagina oppure lasciate in un angolo interno. Non si tratta neppure di rifare l’elenco dei fatti e dei pensieri positivi che, di solito, hanno minor fortuna mediatica.
Sulla frontiera dove un anno scivola nell’altro le domande che nascono ai bordi della cronaca riguardano soprattutto lo spessore dell’umanità. Riguardano il futuro dell’uomo.
E così l’ultima inquietudine, in ordine di tempo, nasce dalle riflessioni che si susseguono a proposito della vita di tante persone disperate in balìa delle onde del Mediterraneo.
Abbandonarle al loro destino perché solo così si può fermare un turpe traffico oppure intervenire nella convinzione che la salvezza di tanti innocenti non deve ridurre ma, al contrario, intensificare la lotta alla criminalità?
In questa domanda se ne raccolgono molte altre e tutte, collegate alla cronaca di un anno, mettono sotto esame lo spessore dell’umanità di oggi e vanno al cuore del futuro.
La cronaca non ha risposte perché non è questo il suo compito. Dalla cronaca, se letta con intelligenza, viene un continuo rilancio della domanda sulla tenuta dell’umanità.
È un rilancio che avviene sia con il racconto di atrocità enormi sia con il racconto di fatti minori ma non meno laceranti e sconvolgenti.
Quale umanità in un rom diciottenne che uccide per 15 euro un’anziana donna? Quale umanità in chi, condannando giustamente un crimine orrendo, vorrebbe punire o umiliare l’intero popolo rom?
Domande che sulla frontiera tra un anno e un altro bussano alla coscienza per chiedere quale pensiero sia rimasto sull’uomo, sulla sua vita, sulla sua dignità.
Il fiume incessante e impetuoso d’informazioni rendono tutti un po’ più umani oppure no?
Nel passaggio da un anno all’altro ci si chiede allora se i dodici mesi trascorsi abbiano avuto un’anima e se il tempo che verrà avrà un’anima. Perché l’anima è la misura, è il respiro dell’umanità.
Ancora una volta ci si trova di fronte al bivio tra l’essenziale e il superficiale, tra l’apparenza e la realtà, tra l’egoismo e la solidarietà.
Non saranno i fuochi artificiali, i brindisi, i botti a indicare la direzione da prendere.
Neppure saranno gli auguri che a volte si riducono a parole consunte e impoverite.
Sarà altro. Sarà la serena consapevolezza di chi ai bordi della cronaca crede in un’umanità che muove i suoi passi verso il futuro con fermezza, senza affanno. Un’umanità che cammina nella storia e che lascia giustamente dire “Chi non corre è perduto” agli atleti in gara nella staffetta 4×100.