La notizia è recente e di straordinaria importanza, soprattutto per gli amanti della scultura medievale e di quel volto antico di Firenze, non ancora rinascimentale ma già pienamente umanista e moderno. Una Firenze che sembra tornare a rivivere grazie al Museo dell’Opera del Duomo che ha acquisito tre preziose sculture in marmo un tempo appartenute proprio alla Cattedrale di Firenze, precisamente alla fase iniziale della sua costruzione. Le opere sono riferibili ai primi decenni del XIV secolo, ed erano ricomparse, come si legge da una nota dell’istituzione fiorentina, “sul mercato durante l’ultima Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze, presentata dalla Galleria Mehringe Benappi”. Si tratta di un Apostolo e due Angeli-reggicortina che portano la “firma” di due grandissimi maestri dell’arte medievale: Arnolfo di Cambio e Tino di Camaino.
Due straordinarie personalità artistiche che, con il loro stile e la loro audace inventiva, seppero per certi versi portare a compimento quel momento storico che avrebbe segnato il passaggio dal gotico, soprattutto di stampo europeo, alla nuova sensibilità moderna. Arnolfo fu maggiormente “italiano” nella metrica compositiva, le sue opere rispondevano ad un ideale etico e austero che sembra voler recuperare idealmente la sensibilità delle antiche statue romane. La storica dell’arte Angiola Maria Romanini ebbe a paragonare l’espressione artistica di Arnolfo ad una sorta di “dolce stil novo” della scultura. Diversamente invece, il senese Tino di Camaino, fu interprete di un linguaggio più prossimo alla pittura che alla scultura stessa e caratterizzato da un profondo lirismo armonico. Le sue realizzazioni si connotano soprattutto per l’atmosfera meditativa, raffinata e trasognante dei personaggi, nonché per la rara capacità di sviluppare attraverso una linea levigata e fluente gli ampi e sovrabbondanti panneggi dei soggetti rappresentati. Non poche sono le vicissitudini che nel tempo ha subito l’Apostolo arnolfiano, che originariamente faceva parte del gruppo scultoreo della Dormitio Virginis, situata sul timpano della porta meridionale della facciata del Duomo. La scultura venne rimossa nel 1587 e collocata nei depositi dell’Opera di Santa Maria del Fiore fino all’Ottocento, entrò quindi nella collezione dei marchesi Torrigiani, per poi essere alienata a seguito di una non felice valutazione negativa. Da lì una lunga peregrinazione, tra collezioni private e Gallerie d’arte, di cui seguirne le tracce risulta ad oggi complesso. Il suo ritorno a casa ha aperto alcune ipotesi in merito alla originaria collocazione nel complesso scultoreo: la posizione delle braccia e la particolare postura farebbero pensare ad una sua posizione accanto alla Vergine dormiente, in atto di sostenere il lenzuolo funebre.
L’ipotesi trova conferma anche da una mano scolpita proprio sotto il lenzuolo. Gli angeli-reggicortina di Tino di Camaino provengono invece da un altro famoso complesso scultoreo: la tomba del vescovo Antonio d’Orso del 1321, situata originariamente nella controfacciata del Duomo fiorentino. Tino rappresenta i due messaggeri celesti, inginocchiati con la testa leggermente reclinata verso l’alto, in segno di adorazione divina, mentre con la mano sostengono elegantemente un lembo di una tenda, che doveva aprirsi illusoriamente mostrando il dignitario ecclesiastico caratterizzato da un volto serafico. Da qui si deduce che questi erano, con ogni probabilità, posti ai lati della cimasa di una struttura a tabernacolo architettonico. Inoltre proprio le figure degli angeli-reggicortina rappresentano una tipicità dell’artista senese, ed il loro recupero risulta quindi particolarmente significativo. Lo sforzo e la volontà dell’Opera del Duomo che ha riportato a casa le due preziose statue rappresenta un esempio di sensibilità volta a recuperare la propria storia che diviene un bene da custodire gelosamente, una sensibilità che può essere monito per tutta l’arte italiana, spesso bistrattata e dimenticata.