“Candelora”: omelia del Vescovo di Rieti Delio Lucarelli

La festa odierna è sempre carica di molteplici significati, teologici e liturgici, ma anche affettivi e legati ai ricordi, di quando eravamo bambini e ragazzi.

Quest’ultimo aspetto è comprensibile anche per il clima di intensa partecipazione e il legame del popolo di Dio con questa ricorrenza, all’interno di quel complesso di consuetudini e usanze che chiamiamo “religiosità popolare”.

Il brano evangelico ci presenta il noto episodio della presentazione al tempio di Gesù, quando fu offerto a Dio. L’evento si riferisce ad una tradizione religiosa ebraica, che nel caso di Gesù si riveste di un significato ben più ampio e nuovo.

Tra i molti spunti che offre il testo desidero soffermarmi su alcuni di questi in particolare, che mi sembrano anche collegati tra loro in modo singolare.

Al di là della dimensione puramente teologica e liturgica, mi ha colpito un aspetto forse poco sottolineato: nel tempio abbiamo l’incontro (questa festa infatti si chiama in oriente Ypapanti, cioè incontro tra Dio e il suo popolo) con il Signore e la consacrazione del Figlio con la profezia apparentemente innocua ma ineluttabile di Simeone a Maria (una spada ti trapasserà l’anima).

Abbiamo, sotto il profilo antropologico, un profetico incontro anche tra generazioni, che si annodano in un vincolo di fede destinato a propagarsi, a diffondersi.

Incontro di generazioni che, nel reciproco riconoscimento e nella diversità dei ruoli, si pongono di fronte al mistero per riceverne luce e sostegno.

Abbiamo anzitutto due giovani sposi, che si trovano ad affrontare la sfida nuova e impegnativa della genitorialità, e che forse in modo non del tutto consapevole ripetono una consuetudine stabilita dalla Legge ebraica, insieme religiosa e giuridica.

Genitori però anche un poco sconvolti dagli eventi della nascita e della epifania di Gesù. Essi avevano già compreso che Gesù non era un bambino come tutti, ma che sarebbe stato “grande e chiamato Figlio di Dio”.

Abbiamo poi due vegliardi, Simeone e Anna, che possono simboleggiare proprio chi ha fatto una scelta di particolare vicinanza con il Signore: essi accolgono la vita e la bellezza divina, detta filocalìa. Si lasciano pervadere dalla luce che sprigiona di per sé la vita stessa, più ancora se questa vita è umano-divina, come nel caso di Gesù, che viene ad essere segno di contraddizione, ma anche di salvezza per molti. Questo incontro delle generazioni ci invita ad una breve ma intensa riflessione proprio sulla condizione degli affetti e dei legami tra le generazioni, che oggi sembrano essere particolarmente critici.

Ci rende pienamente consapevoli che una vita serena e senza conflitti è possibile se questo legame tra le generazioni è coltivato e sostenuto, anche alla luce della fede.

Esso avviene proprio all’interno del tempio, della casa del Signore, dove si fa sintesi, in qualche modo, delle case degli uomini.

È l’icona della famiglia nella sua dimensione religiosa e pubblica, nella sua collocazione verso la tradizione e nella sua proiezione verso il futuro.

Questa immagine ben evocata dal Vangelo di oggi, ci fa cogliere, con un solo colpo d’occhio, una corretta concezione della famiglia, per certi versi protetta da avversità e insidie.

Ma ci illumina anche circa le responsabilità educative dei genitori e degli anziani: non è fuori luogo parlarne proprio durante il decennio dedicato all’educazione dalla Chiesa italiana (Vd. Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020). La vita buona del Vangelo vissuto dalle persone consacrate possiede un profondo valore educativo.

Educare alla vita buona del Vangelo significa:

  • coinvolgersi con Cristo e lasciarsi attrarre dalla sua persona;
  • seguire la sua presenza attraverso l’ascolto della sua Parola;
  • celebrare i suoi sacramenti;
  • prediligere la vita fraterna nella Comunità.

Ma vi è un altro aspetto che desidero proporre alla vostra attenzione, un aspetto che sembra quasi essere stridente con il sentire comune diffuso nel nostro tempo; è quello della offerta del primo maschio perché sacro.

La concezione ebraica di offerta del figlio è giunta anche nella nostra cultura e negli usi religiosi diffusi anche da noi: l’offerta del figlio al Signore, che non necessariamente doveva risolversi con la consacrazione speciale o con il sacerdozio.

Nell’idea dell’offerta è in qualche modo implicito importante riconoscimento: che Dio dona la vita e i figli, ed essi appartengono a Lui.

Purtroppo oggi, questo modo di vedere e vivere la maternità e la paternità è andato molto ad affievolirsi, anche secondo la mentalità credente, a vantaggio di una visione più pragmatica, ma anche fonte di errori educativi, secondo la quale il figlio è solo dei genitori e solo in seconda istanza membro di una comunità e, forse, solo dopo, figlio di Dio e a Lui “sacro” come dice il testo evangelico.

Potrebbe sembrare una forzatura biblica, ma nel concetto di offerta a Dio del figlio, soprattutto alla luce della profezia di Simeone, è da inserire anche quella “previsione eucaristica” secondo cui Gesù è dono del Padre all’umanità, ma è anche dono offerto dall’umanità al Padre, proprio nella celebrazione eucaristica, che è memoriale e non puramente memoria o ricordo.

Difatti nell’Eucaristia celebrata noi riviviamo il mistero della redenzione, proprio quella redenzione che i giusti di Israele aspettavano e che i Santi vecchi profetizzarono riguardo a Gesù.

Qui ricordo l’Anno Eucaristico che abbiamo avviato nel quale riscoprire la presenza di Cristo fra noi.

Carissimi religiosi, che avete emesso i voti con i quali vi siete consacrati al servizio di Dio, considerate come vostra caratteristica particolare quella detta nel vangelo riguardo alla profetessa Anna: “Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”.

Non allontanatevi mai dal tempio per servire il Signore notte e giorno nel sacrificio e nella preghiera, soprattutto nella adorazione silenziosa del grande mistero dell’Eucaristia.

In esso imparate a vedere la donazione della vostra vita, della nostra vita, a Cristo e alla Chiesa come profezia del Regno.

Il popolo di Dio ci guarda con stupore, a volte con ammirazione, molte volte con diffidenza e pregiudizio; ma questo fa parte della nostra identità, fortemente connotata da una scelta controcorrente, perché in qualche modo siamo anche noi “segno di contraddizione, ma anche di redenzione”.

All’inizio della celebrazione la luce si è propagata e ha diradato le tenebre.

Una piccola luce, se moltiplicata, può illuminare il buio più intenso.

La nostra fede e le nostre persone devono essere come queste piccole luci: possono illuminare il buio del mondo.

E a tutti voi il grazie cordiale e riconoscente per il sostegno e la collaborazione che mi avete dato nei 15 anni della mia presenza in questa Chiesa.