Cacciari indaga Francesco nelle pieghe del “Cammino”

Un pubblico silenzioso ed attento ha seguito la Lectio Magistralis di Massimo Cacciari su san Francesco. Da solo a riempire la scena. Niente cattedra, né poltroncina, ma solo un leggio per quella che è stata a tutti gli effetti una lezione. Non di quelle pedanti o noiose, ma di quelle che ti fanno tornare a casa arricchito. Per più di un’ora il “professore” Cacciari ha guidato i presenti in un “cammino” ricco di citazioni, riflessioni e pensieri aperto da una domanda: «Questo cammino che porta Francesco sulle vostre strade quale significato ha?».

Parte da qui Cacciari per “narrare” del Francesco viandante che amava sentir cantare mentre viaggiava e lungo il viaggio chiese al frate che lo accompagnava di cantare per lui. Ma questi rifiutò, perché disse che forse lì avrebbero potuti scambiare per giullari («ma Francesco non si definiva il giullare di Dio?»). E così ci pensò un angelo a cantare per loro.

Si diceva cammino. È lì che torna Cacciari spiegando che «per comprenderlo si deve parlare prima della sua simbologia».

E da dove iniziare se non dal «viaggio come elemento fondamentale della filosofia, basti pensare alla navigazione socratica. E dal viaggio della sophia del sapere si arriva nei secoli a quello della tecnica».

Ma non si ferma qui il viaggio e nemmeno il relatore che parla anche del «più arrischiato di tutti i viaggi, quello del Faust di Goethe con il protagonista che chiede di essere portato nel regno dove le forme vengono disciolte, nel mondo delle origini».

E non può mancare il viaggio di Ulisse. Perché «i cammini della civiltà europea sono contorti e volerli ridurre ad un unico viaggio è un’idiozia».

E, dopo questi cammini, si arriva a quello di Santiago, «uno dei cammini dell’Europa cattolica, il viaggio del pellegrino. Diverso dagli altri, ma che dagli altri non può essere separato. Ma c’è una differenza perché il pellegrino, al contrario del filosofo, ha una meta fisica. Strada e meta, mentre il filosofo non può dire di avere una meta perché la ricerca della verità non è propriamente una meta».

Eccola la differenza. Perché «il pellegrino riceve in dono la meta ma anche la forza per sopportare il viaggio, mentre il filosofo si crea da solo la meta che è poi il risultato».

E poi c’è il viaggio di Francesco, «uno strano pellegrino che non oltrepassa la città. La cerca con la voglia e la nostalgia di andare dove vivono uomini e esseri capaci di ascoltare e con loro lodare il Signore. In Francesco non c’è nessuna nostalgia di un’ascesi mistica dove le figure si estinguono in un’unica luce, ma c’è l’essere definito: uomo, donna o animali con cui conversaree da convertire».

Per Francesco «libertà è andare “nudi” per il mondo donando e perdonando e a piedi. “Andate carissimi” è l’esortazione di Francesco ai suoi cui dice “benedite chi vi perseguita e caudate chi vi ingiuria”».

E cammina Francesco, cammina ovunque, ma per «andare ovunque non si deve solo essere liberi, ma anche nudi perché addomesticarsi nel senso puro del termine vuol dire, per Francesco, impossibilità di andare. Non vuole una casa e anche la sua cella gli va stretta perché “la mia cella è il mio corpo” dice. Sii libero. Risorgi. Questa è la provocazione di Francesco».

Francesco pellegrino che predica “Pace e bene” e ha la «nostalgia del “farsi accanto” che è anche la sua fede. Un correre all’altro, al prossimo che diventa prossimo quando “io” gli corro accanto. E’ questa l’energia che muove il suo cammino. E l’invito a perdonare, ma in modo lieto perché dice ai suoi “ non siate nebulosi perché la novella che annunciate è lieta e dovete predicarla cantando”».

Corre Francesco, corre. «Corre dietro al padre, corre dietro a madonna povertà, corre per la misericordia». Questo è il suo cammino. E «il correre di Francesco ha una forma: farsi prossimo correndo nudi e liberi».

Il camminare. Che è raggiungere il prossimo e «più è distante, più diventa la mia meta per farmi suo prossimo».

E di questo cammino «mai si nasconde la pericolosità, anche se si deve camminare lietamente, mai si nasconde il male. Perché non si maschera nulla della lotta».