Brexit vista dai Balcani. Timori e speranze nell’Europa “periferica”

I Paesi nati dalla dissoluzione della Jugoslavia hanno seguito con apprensione il referendum che ha portato Londra fuori dall’Unione. Euroscettici – ben presenti anche in questa regione – e filo-Ue si sono domandati se i negoziati per l’adesione avrebbero subito un rallentamento o addirittura uno stop. L’analisi di una esperta, che segnala problemi e prospettive sulla via verso Bruxelles

Il referendum dello scorso 23 giugno, quando la Gran Bretagna ha deciso di uscire dall’Unione europea, ha avuto una particolare eco nei sei Paesi dell’Europa sud-orientale, che si trovano – chi in una fase già avanzata chi ancora in quella iniziale – nel processo di adesione all’Ue.
Tra le prime reazioni dopo la Brexit in questi Paesi si è fatta sentire la voce degli “euroscettici” che, con non poca soddisfazione, presagivano la fine dell’Europa unita paragonando il voto dei britannici alla situazione che aveva portato anni fa alla dissoluzione di quel Paese multinazionale e multireligioso con 22 milioni di abitanti che era la ex-Jugoslavia; un progetto che dopo settant’anni di vita si era rivelato estremamente fallimentare e frutto di un’idea bella e nobile ma nella prassi fondamentalmente insostenibile e compromessa da regimi non democratici al potere, susseguitisi dalla nascita dello stato nel 1918 sino alla sua fine tra il 1991 e il 1992.
Anche in questo caso, lo smembramento del Paese composto da sei repubbliche e due provincie autonome era maturato in una situazione di grave crisi economica negli anni Ottanta del Novecento e che, alla fine, aveva frammentato la Jugoslavia socialista da cui sono nati i sette Stati indipendenti di oggi.
Ma all’esito del voto britannico non hanno reagito solo gli euroscettici, bensì anche gli “euroentusiasti” che, con evidente timore e malcelata delusione hanno sentito come reale

la possibilità di veder rallentare e perfino interrompersi il processo di integrazione europea dei Paesi dei Balcani Occidentali, per i quali la questione del “leave” o “remain” ha assunto un significato cruciale:

rimanere ghettizzati alla periferia dell’Europa o far parte di una comunità la cui superiorità rispetto alle possibili alternative non è certo da mettere in dubbio. Consapevoli che in Europa niente più sarà come prima della Brexit, i loro commenti erano nutriti dal filo di una speranza – più voluta che realmente avvertita – che l’Ue, qualora venga “riassestata”, non avrebbe chiuso le sue porte ai Balcani.
Per rassicurare i Paesi candidati dei Balcani, il presidente francese François Holland e la cancelliera tedesca Angela Merkel, insieme ai rappresentanti di Bruxelles, a solo due settimane dal voto dei britannici hanno riunito, a Parigi, i capi di Stato e di governo dei due Paesi balcanici già diventati membri dell’Unione (Slovenia e Croazia) e quelli che si trovano nel pieno del processo di adesione (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia, Serbia), per confermare loro che

“il processo continuerà” nonostante la Brexit

e che la decisione della Gran Bretagna non influirà in alcun modo sul processo in corso in quanto l’allargamento dell’Ue non si fermerà, bensì “sarà rafforzato”. Si è altresì discusso del modo più efficace per riavvicinare l’Ue e i Balcani, indispensabili grazie alla loro posizione geografica per affrontare la crisi migratoria e la lotta contro il terrorismo, ma anche per riavvicinare e contribuire a far riconciliare gli stessi Paesi balcanici, un compito certamente non facile dopo anni di guerre e di odi reciproci. Infine, a Parigi è stato annunciato lo stanziamento di fondi per garantire la migliore coesione della regione nel settore energetico e delle infrastrutture, affidando particolare attenzione alla cooperazione tra i giovani del sud-est europeo.

È chiaro che la risoluzione di questioni ancora aperte nei rapporti bilaterali di questi Paesi diventa ora una tappa indispensabile nel loro cammino verso l’Unione europea.

Ricominciare e rafforzare la collaborazione regionale prima con i vicini di casa e poi con gli altri Stati europei sarebbe tra l’altro la prova della capacità democratica di quelle forze politiche nel superare le ferite del passato.
Considerato che, dopo la Brexit, la più importante organizzazione internazionale di cui fanno parte gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i Paesi membri dell’Ue rimane la Nato, è ovvio che questo diventerà il maggior elemento di attrazione dei Paesi dei Balcani Occidentali imponendosi come garante della loro stabilità e sicurezza politica. Tali Stati, infatti, essendo relativamente piccoli ed economicamente deboli, non potrebbero garantire da soli la propria sicurezza.
Oltre alla Slovenia, alla Croazia e all’Albania, alle porte della Nato adesso si trova anche il Montenegro che, a breve, dovrebbe diventare il 29° membro dell’Alleanza (finora è uno “Stato osservatore”). Questo processo di allargamento della Nato nei Balcani procede in modo parallelo alla integrazione europea; anzi, come è già successo in passato, potrebbe addirittura precederla e promuoverla.