Il Brasile dopo i mondiali: voglia di comunità nazionale

Il brasilianista Ettore Finazzi-Agrò: «Con i Mondiali un’operazione per ricompattare il Paese… a partire dall’inclusione di territori apparentemente ai margini, come l’Amazzonia o il Nord-Est». Nonostante gli ulteriori investimenti per le Olimpiadi, esclusa la possibilità di un crac finanziario: «Il Brasile ha spalle forti». Comunque resta «un Paese modernissimo e arcaico al tempo stesso».

Dopo i Mondiali, cosa resta al Brasile, al di là dell’amarezza per la cocente sconfitta in semifinale con la Germania (e pure per il 3-0 subito nella “finalina” con l’Olanda)? L’appuntamento sportivo ha molteplici implicazioni per il Paese, a partire dalle cifre stratosferiche spese per costruire stadi in Amazzonia o in altre zone dove difficilmente verranno in futuro sfruttati nelle loro potenzialità. Il Sir ne parla con il brasilianista Ettore Finazzi-Agrò, docente all’Università “La Sapienza” di Roma.

Quando il Brasile ha perso 7-1 la semifinale si paventavano riflessi negativi anche sulle prossime elezioni presidenziali. È così importante il calcio in Brasile? Per i brasiliani ha un significato al di là dell’evento sportivo?

“Il calcio, come pure il carnevale, sono eventi totalizzanti per il Brasile, che creano comunità. Evidentemente una sconfitta così pesante può incidere emotivamente. Non credo, però, che abbia un riflesso sulle elezioni presidenziali: per quanto il calcio sia un rito profondamente sentito, i brasiliani hanno la capacità di distinguere tra la cronaca sportiva e le scelte politiche”.

Per i Mondiali alcuni stadi sono stati costruiti in zone remote, come Manaus e Cuiabà: difficilmente verranno valorizzati un domani…

“Sì, ci sono dubbi sull’utilità di questi stadi, che effettivamente avranno un uso limitato. Lo stadio di Manaus, ad esempio, è costato 300 milioni di dollari e ospiterà la squadra locale, che gioca in terza divisione e ha sì e no 300 spettatori. Questi sono i margini oscuri di un’operazione che, comunque, ha tentato di ricompattare il Paese e dietro la quale vi è una politica che è la stessa da secoli: costruire una comunità nazionale a partire dall’inclusione di territori apparentemente ai margini, come l’Amazzonia o il Nord-Est del Brasile”.

Le strutture dei Mondiali potranno servire, tra due anni, per le Olimpiadi?

“Non direi. Si dovranno costruire nuove strutture, impianti che servano per tutti gli sport olimpici. I lavori, questa volta, interesseranno soprattutto Tijuca, un’area nella parte Nord di Rio che è al di fuori della zona turistica di Copacabana e Ipanema. Ma il vero problema, qui, saranno i trasporti: Tijuca è separata da Ipanema da una costa rocciosa sulla quale sorge una strada molto trafficata”.

Per il Brasile c’è ora il rischio che le spese dei Mondiali portino a una crisi come avvenuto in Grecia?

“Il Brasile ha spalle forti per sostenere le spese dei Mondiali, che peraltro hanno avuto ritorni economici, ad esempio con l’incremento molto forte del turismo”.

Il Brasile, tuttavia, vive grosse disparità sociali ed economiche. Proprio nei giorni dei Mondiali è salita alla ribalta delle cronache la favela di Mae Luisa (vicina allo stadio di Natal, dove si è disputata Italia-Uruguay) per una voragine che si è aperta a causa delle piogge. I riflettori di tutto il mondo puntati per l’evento sportivo servono anche per una riflessione più profonda sulle disuguaglianze del Paese?

“La situazione socioeconomica del Brasile è fortemente sperequata, come in altri Paesi dell’America latina. È un Paese modernissimo e arcaico al tempo stesso. Non bastano i campionati del mondo per colmare le differenze. Piuttosto, c’è da riconoscere che negli ultimi anni questa distanza sociale si è ridotta, con la politica attuata dai governi Lula e Rousseff. Certo, il cammino è molto lungo…”.

Sul “Corriere della Sera” Aldo Cazzullo parla di una vittoria del Brasile, che “ha dimostrato di essere all’altezza di una grande manifestazione internazionale”. Cosa ne pensa?

“L’organizzazione dei mondiali mi è parsa efficiente. Nonostante i dubbi e le proteste della vigilia, condivido la visione di Cazzullo, per la quale il Brasile sul piano organizzativo ha vinto, è riuscito dove molti altri Paesi non ce l’avrebbero fatta”.

Oltre ai Mondiali, ci sono le Olimpiadi tra due anni. Ma già lo scorso anno Rio de Janeiro ha ospitato un grande evento internazionale: la Giornata mondiale della gioventù, con tre milioni di giovani insieme a Papa Francesco.

“Tutto deriva dalla volontà politica di presentare un Paese – finora pensato solo come un’enorme paradiso tropicale – in grado di organizzare eventi di questa portata. Aggiudicarsi i Mondiali è stato un atto politico, voluto da Lula per offrire al mondo un Brasile pienamente integrato nel sistema economico occidentale. Questa è una grande vetrina per il Paese latinoamericano”.