L’eresia economica: distribuire

La rilettura di John C. Médaille aiuta a capire meglio anche Papa Francesco.

Distributismo Una politica economica di equità e di equilibrio“È necessario porre la dignità della persona umana al centro di ogni prospettiva e di ogni azione. Gli altri interessi, anche se legittimi, sono secondari”.

Le parole di Papa Francesco in Molise sono risuonate in tutti i dispacci d’agenzia e nelle prime pagine dei giornali, accolte da molti come la ferma presa di posizione sul drammatico problema del rapporto tra lavoro e dignità umana. Alcuni hanno però letto queste parole come genericamente umanitarie e non dotate di una visione “scientifica della realtà” come nel marxismo. Probabilmente gli “alcuni” in questione non hanno mai sentito parlare di Distributismo. Perché il Distributismo è stata una risposta – realizzata in molte parti del pianeta, ma come al solito molti fanno finta di non saperlo – di economisti, intellettuali, politici, ai limiti sia del capitalismo sia del comunismo. Chesterton, per fare un esempio, era un convinto distributista, ed espose questa sua convinzione in “Il profilo della ragionevolezza. Il distributismo, un’alternativa al capitalismo e al socialismo”.

Per capire il sottile filo rosso che lega le ammonizioni del pontefice sul rapporto dignità-lavoro alle idee di Chesterton, Belloc e diversi altri, tra cui, come vedremo tra poco, anche san Tommaso e Leone XIII, è utile leggere il recente “Distributismo. Una politica economica di equità e di equilibrio” (Lindau, 339 pagine), opera di John C. Médaille, uno dei più importanti esperti del settore. La prima cosa che balza agli occhi è che la massima parte degli aderenti a questa concezione dell’economia è formata da cristiani. I loro punti di riferimento sono il Vangelo, ma anche alcuni passi di Aristotele, San Tommaso e qualche pagina di Platone, anche se testo fondamentale è la Rerum Novarum di Leone XIII. Parole come “Avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza… tanto che un piccolo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un giogo poco meno che servile” sembrano provenire dalla penna di Karl Marx e non da una enciclica che venne criticata da sinistra proprio per la sua opposizione al comunismo.

E in effetti il Distributismo tenta una strada assai diversa da quelle dello statalismo, del socialismo radicale o del liberismo economico, perché ha come soggetto l’uomo, e non i numeri. La differenza non è da poco: Médaille afferma che un’economia fatta solo di cifre porta alla distruzione e non alla costruzione, perché non tiene conto della dimensione uomo. Non può esistere una economia scientifica: quando qualcuno ha preteso di realizzarla, ha creato un mostro che ha distrutto milioni di vite. La ricchezza non può essere separata dalla sua distribuzione, mentre oggi si assiste esattamente al contrario: una ricchezza sempre più aggressiva si attacca alle avide mani di pochi che non si rendono conto di distruggere le fonti stesse dell’umanità: la serenità, il lavoro, la famiglia e la natura.

E proprio la famiglia il centro del discorso distribuzionista, che oggi appare inattuale a molti, anche perché questa scelta impone di essere, ai nostri tempi, dei resistenti, dei Robin Hood che svelano il trucchetto del furbo sceriffo: dare cose deperibili e non riparabili (costringendo a lavorare a salari sempre più bassi per averli, a danno del tempo familiare) al posto di amore, solidarietà, rapporti interpersonali. E come dare torto a Médaille in un momento in cui la pubblicità ci dice che con il tal abbonamento possiamo “messaggiare” implacabilmente anche in vacanza, magari ignorando la felicità nascosta a due passi, l’incontro reale, non virtuale, con persone, famiglie, gente in carne ed ossa che ci mostrerebbe che la vita è “L’arte dell’incontro” come avevano suggerito tre grandi, Vinicius De Moraes, Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo.

Ma non solo questo: il volume snocciola i numeri di reali esperienze distribuiste in atto in tutto il mondo: in Emilia Romagna, a casa nostra, “le cooperative forniscono il 35% del Pil della regione, e i salari sono il 50% più elevati rispetto al resto d’Italia”, mostrando che non si tratta solo di buoni sentimenti, ma di un percorso reale. E che è possibile coniugare lavoro e dignità dell’uomo.