A Amatrice si affaccia la possibilità di costruire nel modo più avanzato, ma sarà anche necessario mantenere il sapore di uno dei Borghi più Belli d’Italia.
Proprio quando il peggio sembrava essere passato, il terremoto è tornato a far sentire la sua voce. Alla scossa del 24 agosto, con il suo drammatico carico di vittime, hanno fatto seguito due repliche il 26 e il 30 ottobre. Hanno provocato diversi feriti e innumerevoli crolli, compromettendo il patrimonio storico e artistico in un’ampia area compresa tra Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo.
L’ultima scossa, la più violenta, è stata un colpo micidiale. Amatrice è stata definitivamente incenerita. Ad Accumoli la resistenza è al limite. Il capoluogo sembra avere retto, ma risultano compromessi comuni prima risparmiati, come Leonessa.
Ma ad essere franato è soprattutto il morale. Ormai si vive in un clima di grande incertezza. In tanti a Rieti preferiscono l’automobile al proprio letto. Mentre nell’amatriciano è sempre più difficile dare speranza. «La gente – ci spiega il parroco di Amatrice, don Savino D’Amelio – non ne può più. In tanti dicono “qui non si può più stare”. Botte così forti ogni giorno buttano giù i cuori, psicologicamente si crolla». «Ma andremo avanti», aggiunge il sacerdote: aggrappandosi alla fede, ma anche all’attesa di quanto è stato ripetuto più volte dal Governo: «Si ricostruice subito, dov’era e com’era».
Una promessa tutta da interpretare, perché il processo di ricostruzione ha un suo carattere anche storico. Sul ground zero di Amatrice si affaccia la possibilità di costruire nel modo più avanzato, ma sarà anche necessario mantenere tutto il sapore di uno dei Borghi più Belli d’Italia. Realizzare pienamente entrambi gli scopi è la sfida da vincere. Riuscirci, sarebbe come realizzare un piccolo Rinascimento. Dopo decenni di incuria e conseguente spopolamento, lo stile di vita dell’Italia più interna tornerebbe ad affermarsi come un modello sociale adatto al mondo contemporaneo.
La scelta di ricostruire i centri distrutti dal sisma, infatti, non è scontata. Sembra intimamente legata a una riflessione sul problema dell’urbanizzazione. Lo stile di vita più tranquillo dei piccoli centri è desiderato da molti, ma non ha la forza sufficiente per contrastare la forza gravitazionale delle città. Quelle più grandi risultano attraenti per il loro potenziale economico, sociale e culturale, per la loro capacità di concentrare servizi.
Lo sconvolgimento portato dal terremoto offre l’occasione per sperimentare modi per colmare il divario, anche grazie alle nuove tecnologie informatiche. Si indovina facilmente quanto la ricostruzione non sia soltanto un problema di edilizia. Nei giorni dell’emergenza, ad esempio, tutti hanno dovuto fare i conti con la qualità delle strade; la necessità di un ospedale ad Amatrice non è più messa in discussione da nessuno; la fragilità di una economia basata sull’eccellenza agricola e alimentare si è fatta avanti in modo drammatico.
Sono venute a galla tutte le difficoltà che si incontrano nell’abitare le aree interne, lo sforzo in controtendenza necessario per mantenere vivo un patrimonio spirituale, culturale ed economico, piccolo nelle dimensioni, ma grande nel valore. Una fatica visibile in gran parte della provincia di Rieti. Al punto che viene da chiedersi se in fondo non sia un po’ tutto il territorio ad essere terremotato. Se al di là dei danni materiali, una volta superata l’emergenza non sia il caso di ripensare il tema della ricostruzione su una scala più ampia.