L’emergenza demografica è la principale chiave di lettura che la Corte dei conti ha indicato nel suo Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica. E lo ha fatto con parole molto nette e perentorie. “Nei prossimi anni – si afferma nel Rapporto – il bilancio pubblico sarà fortemente condizionato dall’invecchiamento della popolazione e dalle modifiche della struttura demografica”. Un fenomeno ben noto da tempo ma che ora mostra di avere effetti “più acuti di quanto finora atteso”.
È in particolare sulla previdenza che tali effetti si fanno e si faranno sempre più sentire. Così che, stando all’analisi della Corte, i margini per intervenire sulla riforma Fornero (“brusca ma necessaria”) appaiono ridottissimi se non del tutto inesistenti. Il quadro del sistema previdenziale dipinto dal Rapporto è in “chiaroscuro”, laddove il chiaro riguarda il presente e il futuro prossimo, mentre le nubi si addensano sul medio-lungo periodo. Rispetto alle valutazioni dello scorso anno, nelle nuove proiezioni il rapporto spesa per pensioni/Pil aumenterebbe tra i 2 e i 2,5 punti percentuali intorno al 2040 e l’effetto sul rapporto debito pubblico/Pil risulterebbe di circa 30 punti nel 2070. Un peggioramento, spiega il Rapporto, “da ascrivere alla minore crescita del Pil nel lungo periodo, a sua volta dovuta a fattori demografici e di produttività”. D’altra parte, sottolinea la Corte,
“un dato è sufficiente a sottolineare le sfide che l’Italia dovrà vincere per guadagnare migliori prospettive di sviluppo: la prevista riduzione della popolazione, da qui al 2070, per circa 6,5 milioni di abitanti”.
Per fronteggiare questa deriva, il Rapporto suggerisce una strategia articolata, che parte proprio da “azioni in grado di favorire un aumento del tasso di natalità”. Occorre inoltre “gestire in maniera equilibrata i flussi migratori; stimolare la partecipazione al mercato del lavoro; rafforzare la dotazione di infrastrutture materiali e immateriali”. Allo stesso tempo, però, “è essenziale preservare i miglioramenti di fondo che il sistema previdenziale ha realizzato in questi decenni” ed “è cruciale non creare debito pensionistico aggiuntivo”. Questo principio, secondo la Corte, vale in generale per tutto l’andamento della finanza pubblica.
Il messaggio è preoccupato ma non pessimistico, perché è proprio questo è il momento favorevole per intervenire.
“Il triennio 2018-2020 – osserva il Rapporto – si presenta come un’eccezionale finestra, dal punto di vista delle opportunità offerte dal contesto macroeconomico alla riduzione del debito”. Il Paese deve dunque “affrettarsi a ridurre, ed in prospettiva a rimuovere, l’inevitabile pressione che un elevato debito pubblico pone sui tassi di interesse e sulla complessiva stabilità finanziaria del Paese; un passo reso oggi più urgente anche proprio per le nuove proiezioni circa gli effetti di lungo periodo delle tendenze demografiche”. Un discorso che in tutta evidenza entra in rotta di collisione con il dibattito politico di questi mesi ancora post-elettorali.
Nel Rapporto della Corte dei conti compare anche un primo bilancio del Reddito d’inclusione, la misura varata dal precedente esecutivo e di cui pertanto non si parla quasi più, anche se il suo percorso va avanti. “I primi dati Inps sul REI 2018 sono relativamente buoni”, riferisce il Rapporto e, considerati tutti gli interventi, “il numero dei poveri assoluti ora destinatari di un supporto minimo è non distante dai 900 mila”. Per la Corte “si tratta di un buon punto di partenza” ma “appare evidente che l’obiettivo di aiutare una congrua quota di poveri assoluti richiederà un importante sforzo finanziario supplementare”. Questa perdurante “ristrettezza di risorse” è dovuta anche alla crescente concentrazione della spesa sociale sul versante delle pensioni, mentre il Rapporto ipotizza che ci siano margini per una redistribuzione “in primo luogo a favore del sottodimensionato segmento del contrasto all’esclusione sociale”.
La strada da percorrere resta quindi lunga e non è soltanto questione di soldi.
“Molti sono i problemi aperti – sottolinea la Corte – fra tutti quello del residuo grado di frammentazione degli strumenti di intervento e della disomogenea capacità degli enti locali di offrire servizi sociali”, unitamente al fatto che “molti interventi assistenziali vengono ancora attivati non sulla base di una valutazione della situazione economica dell’intero nucleo familiare, ma spesso solo in base al reddito individuale, e talvolta solo a quello da lavoro”
Il Rapporto prospetta quindi la necessità di “una maggiore attenzione verso l’effettiva capacità delle realtà locali di mettere in campo i previsti progetti in grado di portare le famiglie al di fuori dell’area della povertà, di generare un effettivo welfare di comunità anche attraverso l’attivazione di competenze multiple di cui i territori sono espressione” e in cui sarà “fondamentale” il rapporto tra enti locali e terzo settore