89. “Caritas in Veritate”. Papa Benedetto XVI legge il mondo a cui si rivolgeva la “Populorum Progressio” di Paolo VI

«Desidererei ricordare a tutti, soprattutto ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: “L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”».

Il pensiero della “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI è costruito e presentato tenendo conto degli importanti pronunciamenti dei suoi predecessori. Al n. 24 viene infatti sottolineato come, nonostante Paolo VI avesse già parlato della dimensione mondiale che la questione sociale stava acquisendo nel corso del suo Pontificato, le attività economiche e politiche potevano ancora svolgersi all’interno di uno spazio abbastanza circoscritto e soprattutto potevano contare le une sulle altre.

È del tutto evidente invece quanto oggi, tra le due vie, esista uno iato, una profonda e malcelata spaccatura, invisibile solo ai più ingenui: è la politica che governa il mondo o l’economia che impone le sue leggi alla politica? Quale equilibrio tra le due importanti forze?

Se il mondo di Paolo VI faceva i conti con un’attività produttiva essenzialmente realizzata all’interno dei confini nazionali degli Stati, se gli investimenti finanziari erano piuttosto limitati all’estero, oggi siamo di fronte ad uno stravolgimento totale, tale da rendere quasi incredibile il fatto che i sistemi economici precedenti erano diversi dagli attuali. In questa situazione la Populorum progressio assegnava ai poteri pubblici un compito esclusivo e centrale.

Quanto oggi i poteri degli Stati sono frenati e limitati dalla nuova realtà economica internazionale? Ratzinger si sofferma su questo aspetto ritenendolo il fulcro su cui costruire il mondo del domani. Egli indica in una rinnovata valutazione, ruolo e funzione del potere pubblico, la strada da intraprendere per far fronte alle sfide del mondo moderno. Così si esprime. «Con un meglio calibrato ruolo dei pubblici poteri, è prevedibile che si rafforzino quelle nuove forme di partecipazione alla politica nazionale e internazionale che si realizzano attraverso l’azione delle Organizzazioni operanti nella società civile; in tale direzione è auspicabile che crescano un’attenzione e una partecipazione più sentite alla res publica da parte dei cittadini». Indicazione talmente lineare da risultare quasi poco attendibile.

Eppure su questo terreno, forse l’unico, dovranno scommettere le società del nuovo millennio. Sono molteplici i paralleli che emergono tra le due Encicliche. La prima attenzione che Benedetto XVI esprime è diretta ai sistemi di protezione e previdenza, realtà sociali che oggi faticano a costruire il vero obiettivo di fondo: la giustizia sociale. Gli Stati, anche e soprattutto a causa della delocalizzazione della produzione, sono sottoposti a forte competizione reciproca, «allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del mondo del lavoro» (n. 25).

Alla questione giustizia si aggiunge la sua specificazione, la questione sicurezza: «Questi processi hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell’uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale».

In questa spirale si stanno aggrovigliando sia i paesi poveri che quelli ricchi, nonché e soprattutto quelli emergenti, tutti alla ricerca del profitto ad ogni costo, ma a quale prezzo? Semplice: lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi. In tutto questo le organizzazioni sindacali, da forti componenti sociali tese a incidere in modo determinante sulle scelte politiche e economiche, sono state ridotte spesso a mere spettatrici, avendo gli Stati limitato sensibilmente le loro libertà e capacità negoziali. Anche la mobilità lavorativa trova spazio nella riflessione di Papa Benedetto XVI.

Per quanto sia stato un fenomeno importante in anni passati, sia per stimolare nuova ricchezza che per favorire il confronto tra culture, oggi «quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale».

Ecco quindi l’appello incontestabile del Papa: «Desidererei ricordare a tutti, soprattutto ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: “L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”».