72. “Deus caritas est”. Il bene comune al crocevia tra rispetto dello Stato e manifestazione dell’amore

Il tema del rapporto tra giustizia e amore è centrale nell’Enciclica “Deus Caritas est” e viene approfondito decisamente quando il Papa indica e ribadisce il ruolo dei fedeli laici in termini di impegno sociale. I laici, infatti, come cittadini dello Stato «(…) sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Non possono pertanto abdicare “alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune”. Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità» (n. 29).

Il punto di vista dal quale interpretare l’importante affermazione, ripetutamente ripresa dalla Dottrina sociale della Chiesa, riguarda la considerazione per cui le specifiche espressioni della carità ecclesiale non possono mai confondersi con l’attività dello Stato. L’intera esistenza dei fedeli laici «(…) e quindi anche la loro attività politica” deve essere vissuta come “carità sociale». Se quindi la carità è un riferimento imprescindibile per ogni “cittadino”, essa è “congeniale” alla Chiesa, le «(…) organizzazioni caritative della Chiesa costituiscono invece un suo opus proprium» e perciò essa non può mai essere dispensata dal suo esercizio come «(…) attività organizzata dei credenti». Le manifestazioni della carità sono estremamente diversificate, tantissime sono le strutture a cui danno vita in ogni tempo e spazio vissuto dall’umanità. Solo se si ammette che nella natura dell’uomo è iscritto «(…) l’imperativo dell’amore del prossimo», si può comprendere l’incredibile dinamicità della carità nella storia di ogni civiltà umana.

Il cristianesimo «risveglia e rende efficace questo imperativo» e proprio per questo la Chiesa non deve dissolvere tale attività nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante, deve invece conservare la specificità e l’essenza della carità cristiana ed ecclesiale. Il Papa sviluppa questo aspetto guidando il lettore per mano lungo una riflessione che intende dare risposta alla seguente centrale domanda: quali sono gli elementi costitutivi che formano l’essenza della carità cristiana ed ecclesiale? Tre le piste proposte dall’Enciclica che nel prossimo articolo verranno approfondite e ora solo presentate. Nella prima si evidenzia la naturale risposta che ogni uomo sente dentro di sé quando fa esperienza dello stato di necessità del proprio prossimo. In tal caso potremmo certamente affermare che la carica empatica umana può essere una buona chiave di lettura per spiegare e comprendere le dinamiche caritative, ma si può andare oltre.

Ad esempio occorre puntualizzare che «L’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie» per cui è inaccettabile che possa essere posto al servizio di «(…) strategie mondane». Infine la carità non può essere finalizzata al proselitismo perché l’amore è gratuito, il Papa ricorda che «Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa», affermazione, quest’ultima, di evidente onestà intellettuale che non solo apre scenari quanto inattesi per un cristianesimo chiuso in se stesso, ma permette di afferrare in profondità lo spirito di molte sante anime che hanno dato amore e convertito il prossimo senza imporre o parlare in modo più o meno “sfacciato” del messaggio che Gesù ha inviato all’intera umanità.