69. “Deus caritas est”. La grandezza dell’amore cristiano

«Non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore – l’eros – può maturare fino alla sua vera grandezza».

L’Enciclica “Deus Caritas est” di papa Benedetto XVI mostra numerosi riferimenti alla Dottrina Sociale della Chiesa, in modo particolare dal n. 26 al n. 29.

Il Pontefice inserisce all’interno della trattazione sulla carità una particolare attenzione al suo significato e la veste che essa assume in ambito sociale e politico. La riflessione in realtà parte da lontano e il Papa da conto anche di ciò. Senza andare tanto lontano nel tempo, papa Benedetto XVI ricorda, tra altre importanti riferimenti, tre importanti encicliche di Giovanni Paolo II (Laborem exercens, 1981, Sollicitudo rei socialis, 1987, Centesimus annus, 1991), per spiegare tutta la portata e l’importanza che la Chiesa attribuisce alla Dottrina sociale.

Se quindi al n. 27 del documento che stiamo trattando viene espressamente richiamata, la Dottrina sociale della Chiesa è sempre tenuta presente nell’ambito della tesi sviluppata nell’Enciclica, perché nella Dottrina sociale trova piena efficacia proprio l’essenzialità del messaggio cristiano: la carità.

Carità e Dottrina sociale della Chiesa sono quindi strettamente collegate. A questo proposito è importante sottolineare che la Chiesa le assegna un posto centrale nell’ambito dell’annuncio del messaggio cristiano, non viene collocata “in periferia” ma la sua posizione è centrale. La Dottrina sociale è infatti collegata in modo organico con la carità, perché senza di essa i legami sociali si indeboliscono, rischiano di incrinarsi e perseguire scopi e obiettivi che, a lungo termine, conducono allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in poche parole, all’autodistruzione sociale.

In fondo, come ben ricordato dalla “Mater et magistra”, la Dottrina sociale trova nella verità la sua luce, l’obiettivo è la giustizia, l’amore è la spinta e la forza che la anima. Parole importanti che svincolano il concetto di carità da una visione, pur fondamentale, essenzialmente riduttiva: l’idea che la carità sia un fatto personale, non sociale, da sagrestia, legata al buon animo e magari l’autorevolezza di personaggi particolarmente impegnati in strutture dedite all’aiuto del prossimo. In questo senso di esempi se ne possono fare davvero molti.

Parlare di Dottrina sociale e carità significa andare oltre i limiti di una scelta troppo volte legata al prezioso e quanto mai indispensabile ambiente del volontariato. Papa Benedetto XVI invita tutti ad approfondire gli stretti rapporti tra teologia della carità e Dottrina sociale. Se infatti poniamo al centro dell’attenzione dell’agire sociale la giustizia, non si può evitare di scandagliare il naturale rapporto che intercorre tra essa e la carità. Gli ambiti non sono separati, tutt’altro.

In tal senso Papa Benedetto XVI svolge un’acuta, chiara e onesta riflessione circa la manifestazione della carità in ambito sociale. Se da una parte riconosce la veridicità di alcune considerazioni legate al pensiero marxista «(…) I poveri, si dice, non avrebbero bisogno di opere di carità, bensì di giustizia. Le opere di carità — le elemosine — in realtà sarebbero, per i ricchi, un modo di sottrarsi all’instaurazione della giustizia e di acquietare la coscienza, conservando le proprie posizioni e frodando i poveri nei loro diritti. (…) occorrerebbe creare un giusto ordine, nel quale tutti ricevano la loro parte dei beni del mondo e quindi non abbiano più bisogno delle opere di carità» (n. 26), dall’altra non teme di ribadirne alcuni errori.

Prima di arrivare a ciò, il Pontefice riconosce la lentezza con la quale la Chiesa stessa ha affrontato il problema della condizione esistenziale dell’uomo all’interno di un nuovo ordine sociale determinato dal rapporto tra capitale e lavoro, proprio della fine dell’800: «Il sorgere dell’industria moderna ha dissolto le vecchie strutture sociali e con la massa dei salariati ha provocato un cambiamento radicale nella composizione della società, all’interno della quale il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva — una questione che sotto tale forma era prima sconosciuta. Le strutture di produzione e il capitale erano ormai il nuovo potere che, posto nelle mani di pochi, comportava per le masse lavoratrici una privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi» (n. 26).

La questione vera riguarda la soluzione che il marxismo ha proposto all’umanità intera, per uscire dalla problematica sociale creata da un’economia liberista senza regole e freni: la rivoluzione e la collettivizzazione dei mezzi di produzione avrebbe permesso la costruzione di un mondo migliore in cui lo sfruttato e lo sfruttatore non avrebbero più avuto la possibilità di esprimersi.

La storia ha dimostrato che questa impostazione non è giunta ai risultati sperati. «(…) Questo sogno è svanito» (n. 27). È invece emerso un nuovo orizzonte, una prospettiva che interroga l’intera umanità e che, ovviamente apre scenari ricchi di opportunità di crescita e rispetto per la dignità umana e contemporaneamente occasioni per favorire l’arricchimento dei soliti potenti a discapito dei più deboli: si tratta della globalizzazione. «(…) Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell’economia, la dottrina sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di là dei confini di essa: questi orientamenti — di fronte al progredire dello sviluppo — devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo mondo» (n. 27).

Il Papa con queste parole rilancia e scommette di nuovo sulla Dottrina sociale e approfondisce il tema con indicazioni che cercheremo di comprendere meglio nel seguito di questa rubrica.