46. Centesimus Annus: negazione della verità trascendente sull’uomo e perdita dell’orizzonte del bene comune, alla radice del totalitarismo e del calo della partecipazione politica

La riflessione di Papa Giovanni Paolo II circa il totalitarimo parte da lontano. Già infatti Papa Leone XIII aveva riconosciuto, nella Rerum Novarum (1891), tutta la validità della classica impostazione del bilanciamento dei poteri per proteggere la libertà di tutti (legislativo, esecutivo e giudiziario), qualificando in tal modo l’idea dello Stato di diritto dove è sovrana la legge. Qualche decennio dopo l’importante Enciclica appena citata, sullo scenario europeo comparve una forma di potere che Leone XIII non avrebbe mai conosciuto, il totalitarismo. In molti hanno analizzato il totalitarismo ma pochi si sono soffermati su una sottolineatura particolare: nei regimi totalitari “(…) non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. (…). Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro. Allora l’uomo viene rispettato solo nella misura in cui è possibile strumentalizzarlo per un’affermazione egoistica” (n. 44). La Chiesa stessa viene negata perché è lo Stato che ritiene di poter realizzare nella storia il bene assoluto e non contempla nessun tipo di confronto in merito. La Chiesa diventa oggetto di persecuzione, di azioni di annientamento o al massimo di strumentalizzazione secondo un’ottica per cui lo Stato totalitario tende ad assorbire in se stesso la vita di ogni realtà sociale (la famiglia, le comunità religiose e le stesse persone). “Difendendo la propria libertà, la Chiesa difende la persona”. È la democrazia la vera e unica strada per l’affermazione della dignità dell’uomo. Essa, ricorda il Papa, “(…) assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno”. Perché possa affermarsi occorono però alcune condizioni. Indispensabile il luogo e la possibilità della partecipazione democratica mediante la creazione di strutture di corresponsabilità tese a alla formazione e affermazione di veri ideali. Tale passaggio è fondamentale perché una democrazia senza valori “(…) si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. La Chiesa non chiude gli occhi di fronte a questa realtà, come neanche di fronte al fanatismo e al fondamentalismo, perché la verità cristiana non implica l’imposizione di se stessa ma la sua accoglienza libera e gioiosa. La democrazia ha vinto la sfida della storia con il crollo dei regimi totalitari ma non è cessata la lotta per la difesa dei diritti umani che devono essere posti a fondamento di ogni regime democratico. È questa la nuova sfida, sia delle solide democrazie che di quelle nascenti. “Il diritto alla vita, il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità”. La sintesi e la fonte di tali diritti, è la libertà religiosa intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona. Non sempre questi diritti sono rispettati in alcuni governi democratici. Giustizia, moralità, bene comune, non sono spesso i riferimenti presi in considerazione nelle scelte politiche ma si guarda alla forza elettorale o finanziaria dei gruppi che sostengono specifiche posizioni. In tal modo, continua il Papa, il calo della partecipazione politica è alle porte, apatia e sfiducia camminano veloci nell’opinione dei cittadini perché emerge l’incapacità di “inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune”. Ecco quindi l’ulteriore spunto di riflessione che attualizza il messaggio della Centesimus Annus: contribuire allo sviluppo della società tramite la partecipazione politica è un diritto e un dovere che diversamente ciascuno può decidere di esprimere. Dall’esercizio del diritto di voto all’appartenere ad associazioni e movimenti di carattere culturale o con altre finalità legate all’edificazione del bene comune, dall’informazione puntuale o generica che ogni cittadino può liberamente decidere di coltivare, alla presenza attiva di ciascuno a diversi livelli, nelle strutture collegate direttamente o indirettamente ai partiti, fino al ricoprire una carica conquistata elettoralmente. Tante le modalità, ma fortissima la sfiducia e il disamore verso la politica che oggi si registra in ogni fascia sociale. La rissa ha preso il posto del confronto, interessi personali e decisamente particolari hanno preso il posto di quelli comuni, la prepotenza ha preso il posto del dialogo e la volontà di piegare tutto e tutti, a cominciare dalle istituzioni, alle personali esigenze, in definitiva oggi chi esercita il potere ha anche il diritto di fare quello che vuole, questo il messaggio che viene trasmesso dalle vicende personali e politiche dei protagonisti della politica italiana. È una società, quella politica italiana, che ha perso l’orizzonte di riferimento: l’edificazione del bene comune. I politici sono ben istruiti in merito, con queste riflessioni certo non si scopre nulla di nuovo, eppure tutto continua con le stesse logiche, le stesse modalità, il potere infatti coagula forze diverse, rende ipocriti e ciechi molti. Interessante l’altra e ulteriore considerazione del Papa quando esprime con chiarezza che una tale impostazione si riverbera anche nelle scelte economiche di uno Stato: “Queste considerazioni generali si riflettono anche sul ruolo dello Stato nel settore dell’economia. L’attività economica, in particolare quella dell’economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. La mancanza di sicurezza, accompagnata dalla corruzione dei pubblici poteri e dalla diffusione di improprie fonti di arricchimento e di facili profitti, fondati su attività illegali o puramente speculative, è uno degli ostacoli principali per lo sviluppo e per l’ordine economico” (n. 48). Indicazioni a dir poco scontate, ma che la Chiesa, evidentemente, è costretta a mettere nero su bianco a causa della sordità e della cecità dei governanti, gli stessi che poi si ritrovano insieme ad autodefinirsi cattolici praticanti.