44. Idolatria e mercato nella Centesimus Annus

“Idolatria del mercato” e mancato riconoscimento della vera natura dell’alienazione umana: la riflessione di papa Giovanni Paolo II sui meccanismi del Capitalismo alla prova con le nuove esigenze legate alla difesa dei beni collettivi.

I semplici meccanismi di mercato non garantiscono la tutela dei beni collettivi e ancor meno un bene come l’ambiente naturale e umano. Così Papa Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus al n. 40. Se i diritti del lavoro sono stati posti al centro delle riflessioni legati al primo capitalismo, oggi il campo si allarga e il nuovo capitalismo deve guardare oltre difendendo i beni collettivi che “(…) tra l’altro, costituiscono la cornice al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire legittimamente i suoi fini individuali”. Ci sono beni che non possono essere comprati o venduti, beni la cui interpretazione può essere solo qualitativa e mai quantitativa, beni cioè che sfuggono alla logica e ai meccanismi semplicistici del capitalismo. Nonostante gli evidenti vantaggi legati al mercato al fine di utilizzare meglio le risorse, favorire lo scambio di beni e servizi, nonché contribuendo a far incontrare la volontà di due persone che mediante il contratto esprimono chiaramente una decisione legata alle proprie esigenze, si corre il rischio di una “idolatria del mercato” se si lascia gioco alle regole stesse del liberismo sfrenato. L’ignorare l’esistenza di beni che, per loro natura, non possono essere considerati delle merci, è alla base di un errore che conduce l’uomo al non riconoscimento della sua dignità di essere umano. Con il marxismo la denuncia dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo nell’ambito di un contesto economico dove l’etica del profitto impera senza riserve, è certamente qualcosa che deve interrogare lo spirito evangelico e spingere alla mobilitazione. Ma accanto a questa condivisibile posizione occorre chiarire, afferma Giovanni Paolo II, il concetto di alienazione che invece Marx fa discendere “solo dalla sfera dei rapporti di produzione e di proprietà, cioè assegnandole un fondamento materialistico e, per di più, negando la legittimità e la positività delle relazioni di mercato anche nell’ambito che è loro proprio”. Come di consueto, si tratta di discutere sul modello di uomo a cui riferirsi. Affermare che l’alienazione è eliminabile solo in una società collettivistica significa contraddire l’esperienza storica dei paesi dell’est europeo. Occorre invece giungere ad un’altra affermazione: “(…) il collettivismo non sopprime l’alienazione”. Secondo il predecessore di papa Benedetto XVI, il Collettivismo accresce l’alienazione “(…) aggiungendovi la penuria delle cose necessarie e l’inefficienza economica”. (n. 40). Anche il capitalismo deve però confrontarsi con questa drammatica realtà, se infatti la genesi dell’alienazione secondo Marx può essere considerata non appropriata alla luce degli effetti storici di una tale prospettiva, la perdita del senso autentico della vita è un fatto innegabile. Allora occorre chiedersi in quale quadro di riferimento occorre calare questa messa in discussione della natura stessa dell’alienazione. Il papa, come sempre, è chiarissimo: “Essa si verifica nel consumo, quando l’uomo è implicato in una rete di false e superficiali soddisfazioni, anziché essere aiutato a fare l’autentica e concreta esperienza della sua personalità. Essa si verifica anche nel lavoro, quando è organizzato in modo tale da « massimizzare » soltanto i suoi frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il proprio lavoro, si realizzi di più o di meno come uomo, a seconda che cresca la sua partecipazione in un’autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione, nel quale egli è considerato solo come un mezzo, e non come un fine”. È all’inversione del rapporto tra mezzi e fini che occorre guardare per ricondurre alla visione cristiana il concetto di alienazione. Dio ha creato l’uomo al fine di permettergli di vivere l’amore che da Egli proviene nella relazione di solidarietà e comunione con gli altri uomini. Ciò è possibile solo a partire dal riconoscimento incondizionato del valore della persona in se stessa e nell’altro, possibilità che conduce ad una conseguenza inevitabile: “L’uomo non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie. Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un’altra persona o ad altre persone e, infine, a Dio, che è l’autore del suo essere ed è l’unico che può pienamente accogliere il suo dono”. (n. 40). Da ciò si deduce che l’uomo alienato è colui che rifiuta di vivere l’esperienza del dono di se, in ultima analisi quindi, di trascendere se stesso. È in questo passaggio che si evidenzia il baratro che separa la posizione di Marx da quella della Dottrina sociale della Chiesa. Non riconoscere che il proprio destino ultimo è Dio, non guardare alla natura stessa dell’uomo, procedere pertanto verso l’affermazione di una condizione di vita alienante. Ma la ricaduta è assai più ampia: “È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana”. Qui entra in gioco l’impostazione politica delle democrazie.